sabato 16 dicembre 2023

I nuovi equilibri in Asia

Articolo pubblicato dalla rivista "Panorama Difesa". Cfr. Cristiano Martorella, I nuovi equilibri in Asia, in "Panorama Difesa", n. 382, anno XXXVII, febbraio 2019, pp.44-53.  

I nuovi equilibri in Asia 
Le relazioni internazionali dei paesi asiatici fra alleanze e intenso riarmo, in un'area dove si gioca il destino del mondo.   
di Cristiano Martorella   
  
La sociologia della comunicazione descrive un fenomeno chiamato echo chamber (camera dell'eco) con il quale si indica la tendenza a ripetere pedissequamente un'opinione e a cercare soltanto conferme a essa, rifiutando a priori punti di vista differenti e alternativi. In questo modo si evita di confrontarsi con la realtà e la sua complessità, aderendo acriticamente a un preoccupante processo di disinformazione. Il fenomeno dell'echo chamber riguarda tutti i mezzi di comunicazione di massa, e sta coinvolgendo tutte le discipline, ed è per questo motivo che non bisogna meravigliarsi se ciò è riscontrabile anche nella geopolitica. Sempre più spesso si afferma che viviamo ormai in un mondo multipolare, spesso caotico, ma si continuano a usare le consuete categorie del pensiero bipolare utilizzando la contrapposizione fra due blocchi con una parte rappresentata dagli Stati Uniti e i loro alleati, e dall'altra la Russia e la Cina apparentemente solidali per costituire un nuovo ordine mondiale antagonista. Questa semplificazione è troppo rozza e banale, ed esclude gran parte degli attori regionali considerati secondari, ma soprattutto non descrive i reali rapporti di forza fra potenze grandi, medie e piccole, impedendo di capire la complessa geometria delle relazioni internazionali. Ciò che sta sfuggendo è in particolare la situazione in Estremo Oriente, dove si sono formate nuove alleanze nell'ottica del contenimento della Cina. In effetti, la preoccupazione per la crescita del potenziale militare cinese è stata la motivazione che ha costretto molti paesi a collaborare, ma ha anche mostrato che, oltre al timore per l'assertività cinese, è possibile una interessante e proficua cooperazione nel settore della sicurezza. Per comprendere meglio questa complessità vogliamo fornire un quadro dei recenti cambiamenti di strategia, dell'evoluzione della politica estera, e delle collaborazioni fra paesi della regione asiatica.  
  
Quadrilateral Security Dialogue  
Il Quadrilateral Security Dialogue (noto anche come Quadrilateral Initiative, e spesso abbreviato con il termine Quad) è un forum intergovernativo che coinvolge le amministrazioni di Stati Uniti, Giappone, Australia e India. Il primo incontro avvenne il 25 maggio 2007 a Manila, e vide la partecipazione del premier giapponese Shinzo Abe, del vicepresidente statunitense Dick Cheney, del primo ministro australiano John Howard e del primo ministro indiano Manmohan Singh. Questo incontro fu seguito pochi mesi dopo dall'imponente esercitazione navale Malabar 2007 svoltasi il 4-7 settembre 2007 nel Golfo del Bengala, nella quale furono impegnate le navi dei quattro paesi del gruppo, a cui si aggiunsero anche unità di Singapore. Fra le navi impiegate, circa 27, spiccavano le portaerei americane Nimitz e Kitty Hawk, l'indiana Viraat, gli incrociatori americani Cowpens e Princeton, i cacciatorpediniere John Paul Jones, Curtis Wilbur, Higgins e il giapponese Yudachi, e la fregata singaporiana Formidable. Da allora le esercitazioni Malabar sono continuate con cadenza annuale, mantenendo come membri permanenti gli Stati Uniti, il Giappone e l'India, e assumendo un valore strategico rilevante. Il Quadrilateral Security Dialogue è stato rilanciato il 12 novembre 2017 a Manila, con un incontro che ha visto la partecipazione del premier giapponese Shinzo Abe, del presidente americano Donald Trump, del primo ministro australiano Malcolm Turnbull e del primo ministro indiano Narendra Modi. Questi incontri non comportano impegni ufficiali e non fissano nemmeno un programma definito, tuttavia rappresentano la cornice per la cooperazione dei paesi partecipanti che singolarmente hanno poi sviluppato l'uno con l'altro rapporti più profondi di collaborazione e alleanza militare come vedremo più avanti. Nel 2017 Washington ha dichiarato di voler incrementare la collaborazione militare con Giappone, India e Australia, puntando ad assegnare un valore strategico a queste relazioni internazionali con i paesi della regione Indo-Pacifico. Si deve osservare che l'uso dell'espressione "regione Indo-Pacifico", in sostituzione della precedente "regione Asia-Pacifico", indica anche l'enfasi data dall'amministrazione americana alla cooperazione con l'India, che è effettivamente cresciuta in questi anni. Ciò dovrebbe rappresentare un'ulteriore accelerazione del cosiddetto pivot to Asia, con una prospettiva ancora più spinta nell'identificare l'Asia come la regione cruciale in futuro. Anche se Washington assume un ruolo fondamentale per il peso espresso e il ruolo svolto, bisogna però ricordare che le origini del forum sono da rintracciare altrove. Infatti il Quadrilateral Security Dialogue nacque all'inizio del 2007 da un'idea del premier giapponese Shinzo Abe che voleva allargare all'India gli incontri del già esistente Trilateral Strategic Dialogue fra Stati Uniti, Giappone e Australia. La proposta aveva un forte contenuto politico sostenendo l'idea di un "arco asiatico di democrazia" che intendeva coprire i paesi democratici garantendo la loro sicurezza, e promuovendo le attività economiche e il libero commercio. L'evoluzione, fra alti e bassi, ha portato a interessanti sviluppi, mostrando le enormi possibilità della cooperazione nel settore della sicurezza. Anche se il Quadrilaterl Security Dialogue è nato con l'evidente intenzione di contenere l'espansionismo cinese, non è necessariamente concepito soltanto come un'alleanza contro la Cina, anzi potrebbe avere altri obiettivi, se tale esigenza si rivelasse meno pressante. Piuttosto si devono considerare altri pericoli che possono minacciare la regione, come ha dimostrato l'escalation di provocazioni della Corea del Nord nel 2017.  
  
Joint Declaration on Security Cooperation between Japan and India   
Le alleanze in questa regione dell'Asia ruotano intorno al Giappone che è un paese capace di vantare una ricchissima tradizione e una lunga storia, e perciò in grado di avvalersi quindi degli ottimi rapporti con alcune nazioni, in primis l'India. Pur essendo poco noto, il Giappone non ha soltanto la reputazione di aggressore durante la Seconda guerra mondiale, ma è ritenuto viceversa anche l'artefice del riscatto asiatico, avendo avuto il merito di aver cacciato le potenze occidentali opponendosi al colonialismo. Questo punto di vista è particolarmente sentito in India, ricordando il notevole appoggio che il leader indiano indipendentista Subhas Chandra Bose ricevette dai giapponesi durante il conflitto, con l'organizzazione della sua fuga e il sostegno alla lotta contro i britannici. Il concetto era riassunto all'epoca con lo slogan "l'Asia agli asiatici", e coadiuvato dall'elaborazione di una politica panasiatica soltanto parzialmente applicata. Ancora oggi le relazioni fra India e Giappone sono eccellenti, e sono consolidate da interessi comuni e valori condivisi come l'assetto democratico basato su libere elezioni e rappresentanza parlamentare, e alcune somiglianze delle religioni prevalenti come il buddhismo e i culti politeisti locali, induisti e shintoisti. Soprattutto sono convergenti le posizioni politiche su numerosi argomenti, compreso il tema della sicurezza, e in particolare la libertà di navigazione. Infatti, Nuova Delhi è preoccupata per la presenza delle navi militari cinesi nell'Oceano Indiano con l'accresciuta potenza navale di Pechino che minaccia l'intera area, ma anche per i mai sopiti contrasti per i contenziosi territoriali al confine presso l'Arunachal Pradesh e nella regione di Ladakh nel Kashmir, e perfino nel vicino Bhutan per il Doklam. Per questi motivi la collaborazione militare con il Giappone è cresciuta sempre di più, fino ad arrivare a un accordo formale molto ampio e articolato chiamato Joint Declaration on Security Cooperation between Japan and India. Questo accordo è stato firmato a Tokyo il 22 ottobre 2008 dal primo ministro indiano Manmohan Singh e l'omologo giapponese Taro Aso, e prevede la condivisione di un comune punto di vista sulla politica estera, la cooperazione delle forze militari con esercitazioni congiunte, lo scambio di informazioni e possibilmente la collaborazione nel settore dell'industria militare. Quest'ultima aspirazione è stata in effetti rispettata con l'acquisto da parte dell'India degli idrovolanti giapponesi ShinMaywa US-2. Tuttavia l'aspetto che più interessa all'India riguarda il controllo marittimo con l'opportunità di poter fare affidamento sulla potenza navale giapponese per respingere le ingerenze cinesi, ed è per questa motivazione che sono state notevolmente intensificate le esercitazioni Malabar. Le esercitazioni navali Malabar iniziarono nel 1992, originariamente come attività addestrative soltanto fra India e Stati Uniti. Il Giappone fu invitato a parteciparvi nel 2007, e poi nel 2015 divenne un membro permanente insieme a India e Stati Uniti. Altri partecipanti sono l'Australia e Singapore, ma non hanno ancora lo status di partner permanenti. Il Giappone ha anche cominciato a partecipare da solo alle esercitazioni navali con l'India, e la prima volta è avvenuto nella baia di Sagami nella prefettura di Kanagawa, il 9-10 giugno 2012, con l'impiego di due cacciatorpediniere giapponesi, quattro navi indiane e l'aviazione navale nipponica. Queste operazioni bilaterali sono sempre più frequenti, e l'India sembra aver trovato nel Giappone un ottimo partner che risponde in maniera soddisfacente alle richieste del gigante asiatico. In proposito bisogna ricordare che l'India ha avuto negli anni recenti una crescita del prodotto interno lordo superiore a quella cinese, con un aumento demografico che costituisce la ragione della vitalità della sua economia, insieme al graduale miglioramento dell'industria e delle infrastrutture. Come potenza militare l'India ha ancora molte lacune da colmare, però già adesso rappresenta una forza rilevante della regione. Nel 2018 Nuova Delhi possedeva circa 140 testate nucleari, e da poco tempo ha completato lo sviluppo del missile balistico Agni V, un vettore a tre stadi a combustibile solido capace di colpire bersagli in tutta la Cina (comprese Pechino e Shanghai) grazie a un raggio d'azione di oltre 5.800 km.  
   
Japan-Australia Joint Declaration on Security Cooperation   
Un altro interessante tassello nello scacchiere del Pacifico è rappresentato dall'Australia che come abbiamo visto in precedenza è un membro del Quadrilateral Security Dialogue. Anche in questo caso il ruolo del Giappone è importante per molti aspetti, e gioca una essenziale funzione di collegamento con l'alleato americano. Infatti Tokyo ha stretto un accordo con Canberra sul tema della difesa chiamato Japan-Australia Joint Declaration on Security Cooperation. L'accordo fu firmato a Tokyo il 13 marzo 2007 dal primo ministro australiano John Howard e dall'omologo giapponese Shinzo Abe. La collaborazione prevede anche incontri bilaterali periodici, chiamati Australia-Japan Foreign and Defence Ministerial Consultations, fra i ministri degli Esteri e della Difesa, che permettono di approfondire la situazione, avviare nuovi progetti, ed esprimere una posizione politica condivisa. Finora Australia e Giappone hanno trovato una piattaforma politica comune su alcuni princìpi e valori irrinunciabili come la volontà di favorire e promuovere la democrazia e il rispetto dei diritti umani, l'osservanza delle leggi internazionali, l'applicazione delle norme per il libero commercio, e la garanzia della libertà di navigazione. Dal punto di vista militare, Australia e Giappone impiegano molti sistemi d'arma di fabbricazione statunitense, e intendono perciò intensificare la collaborazione e lo scambio di informazioni al riguardo. Il caso emblematico è il cacciabombardiere stealth F-35 che è stato comprato da entrambi i paesi, e dovrà avvalersi di strutture locali per la manutenzione, la riparazione e l'integrazione degli armamenti, e perciò si prevede quindi anche una cooperazione e attività operative comuni fra i velivoli delle due nazioni. Inoltre, il Giappone ha acquistato dall'Australia otto veicoli protetti Bushmaster dotati di caratteristiche particolari, con un elevato grado di protezione contro le mine, che vengono impiegati per le missioni speciali, e sarebbero stati comunque difficilmente sostituibili con altri mezzi. Il secondo aspetto della collaborazione fra i due paesi riguarda l'economia, ed è decisamente cruciale se gli si attribuisce il corretto valore da l punto di vista strategico. Firmato a Canberra l'8 luglio 2014 dai primi ministri Tony Abbott e Shinzo Abe, il Japan-Australia Economic Partnership Agreement (JAEPA) prevede un canale preferenziale per le esportazioni australiane in Giappone, garantendo una crescita complementare delle economie, considerando che l'Australia è un fornitore di materie prime e risorse energetiche indispensabili per la produzione industriale giapponese. Infine Canberra e Tokyo si sono poi dimostrate molto sensibili al tema della sicurezza informatica accogliendo l'invito di Washington a escludere le aziende cinesi Huawei e ZTE dalla partecipazione alla realizzazione delle infrastrutture delle reti telematiche. Da tempo è infatti in corso un braccio di ferro con Huawei e ZTE che sono esplicitamente accusate spionaggio.   
  
Japan-UK Joint Declaration on Security Cooperation   
Un caso emblematico del multipolarismo caotico che contraddistingue i nostri tempi, è rappresentato dalla decisione del Regno Unito di uscire dall'Unione Europea, preferendo abbandonare una comunità di 28 stati con un prodotto interno lordo complessivo nettamente superiore a quello della Cina, in cambio di una sovranità non più trattabile e apparentemente irrinunciabile. Tuttavia la cosiddetta Brexit non è affatto un processo chiaro e sicuro, ed è continuamente rimessa in discussione a causa dei numerosi svantaggi che ne impediscono una applicazione definitiva. Comunque, la scelta di Londra ha però provocato una completa rivalutazione delle relazioni internazionali, con l'intenzione di guardare maggiormente all'Estremo Oriente e all'America per stringere rapporti più forti, e per ricostruire quindi un'economia su basi diverse. Ciò che si vagheggia è il sogno di un ritorno al modello dell'Impero Britannico che grazie alle sue relazioni internazionali extraeuropee sia capace di gestire commerci e finanze meglio di chiunque altro. Nell'ottica di questo ritorno in Estremo Oriente, Londra ha stipulato un accordo con il Giappone chiamato Japan-UK Joint Declaration on Security Cooperation firmato a Tokyo il 31 agosto 2017 dal primo ministro Theresa May e dall'omologo giapponese Shinzo Abe. La cooperazione fra Giappone e Regno Unito non è affatto stravagante, come si potrebbe superficialmente pensare, ma è piuttosto un nostalgico ritorno alle origini ricordando l'antica Alleanza Anglo-Giapponese (Nichiei domei) sancita con la firma di un trattato a Londra il 30 gennaio 1902, e rimasta in vigore fino al 1921. In base a questa alleanza il Giappone partecipò alla Prima guerra mondiale al fianco delle forze anglofrancesi, combattendo i tedeschi nelle loro colonie in Estremo Oriente, e arrivando addirittura a inviare alcuni cacciatorpediniere nel Mediterraneo a sostegno degli alleati. L'importanza della collaborazione anglo-giapponese fu notevole se si considera il contributo dato alla nascita della Marina Imperiale del Sol Levante, con la vendita di corazzate e incrociatori (fra cui ricordiamo l'eccellente classe Kongo), e alla creazione dell'aviazione imbarcata con l'assistenza fornita attraverso mezzi e personale (come gli aeroplani Sopwith Pup e Gloster Sparrowhawk fondamentali per l'addestramento al decollo e appontaggio). Attualmente la cooperazione fra i due paesi ha ripreso lo stesso andamento che era stato avviato in quel lontanto passato, e si sta concretizzando con progetti comuni nel settore dell'industria della difesa, con forme di assistenza come l'addestramento specializzato e con intense esercitazioni congiunte. Dal 23 ottobre al 4 novembre 2016, si è infatti svolta in Giappone, presso le basi aeree di Chitose e Misawa, l'esercitazione Guardian North 16, a cui hanno partecipato caccia Eurofighter Typhoon della Royal Air Force e Mitsubishi F-2 e F-15J della Japan Air Self-Defense Force. Questa è stata la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale di un evento simile, e si è potuto assistere a una esercitazione fra aerei da combattimento inglesi e giapponesi che finora era alquanto insolita. Ancora più importante è stata l'esercitazione Vigilant Isles che si è svolta dal 30 settembre al 12 ottobre 2018 presso Ojijihara, nelle vicinanze della città di Sendai nella prefettura di Miyagi, e al Fuji Training Camp a Shizuoka, alle pendici del monte Fuji. In questa occasione hanno partecipato alle attività i soldati britannici dell'Honorable Artilery Company insieme ai colleghi giapponesi delle Forze di Autodifesa. Si tratta della prima volta che il Giappone ha ospitato truppe non americane sul proprio territorio per un'esercitazione. Considerando l'elevata competenza dei soldati britannici, il contributo che il Regno Unito può fornire nell'addestramento è dunque altissimo, ma può garantire anche la preparazione per sviluppare tattiche adeguate a condizioni particolari di combattimento come la riconquista di un'isola (esperienza vissuta realmente nelle Falkland). Infine, un settore in cui Londra e Tokyo vogliono collaborare maggiormente riguarda l'industria della difesa. Si sta infatti cercando di coinvolgere sia il governo sia le aziende giapponesi nel progetto del Tempest, un caccia stealth di sesta generazione che dovrebbe volare intorno al 2035 circa, ed è sostenuto da importanti gruppi come BAE Systems, Leonardo, MBDA e Rolls Royce. Un altro progetto caldeggiato riguarda il missile aria-aria Meteor che potrebbe essere acquistato per armare i caccia F-35A giapponesi, esigenza che sembra essere molto sentita a Tokyo. Inoltre è anche stata avviata una collaborazione per realizzare una versione migliorata del Meteor dotata di un seeker prodotto da Mitsubishi Electric, chiamata JNAAM (Joint New Air-to-Air Missile). Si spera che i primi test di questo missile possano iniziare nel 2023. Questo fiorire di attività fa intendere che i possibili progressi in questi settori siano destinati a essere incrementati.   
  
Belt and Road Initiative   
Nel quadro delle alleanze stipulate in Asia, la Cina riveste un ruolo centrale essendo percepita come una minaccia a causa della sua crescita militare, della politica estera espansionistica e assertiva, e anche per il suo assetto politico e istituzionale fortemente critico e ostile nei confronti della democrazia liberale. Appunto per reagire a questa sfida sarebbero stati sviluppati accordi e collaborazioni fra paesi diversi. Questa strategia sarebbe una riedizione, riveduta e corretta, della dottrina di George F. Kennan per l'Asia, che prevede di stendere una maglia di contenimento attraverso accordi bilaterali diversamente vincolanti con alleati tradizionali e nuove potenze. Sebbene ciò sia ancora in gran parte vero, bisogna considerare che negli anni recenti la Cina ha cambiato la sua strategia, e ciò va analizzato con oculatezza. Procediamo con ordine attraverso un breve excursus storico che fornisca un'idea più precisa di questo cambiamento. Nel suo discorso al XVIII Congresso del PCC (Partito Comunista Cinese), l'8 novembre 2012, il presidente Hu Jintao affermò che la forza militare cinese avrebbe dovuto diventare egemone tanto da trasformare la nazione in una potenza marittima. Questa esortazione riprendeva una teoria elaborata dall'ammiraglio Liu Huaqing, secondo il quale c'erano due catene di isole che dovevano cadere assolutamente sotto il controllo della Cina. La prima catena di isole è composta dall'arcipelago del Giappone, le isole Ryukyu, Taiwan, le Filippine e la Malesia, mentre la seconda è composta dalle isole Marianne, Guam e Palau. L'ammiraglio Liu Huaqing riteneva che la Cina avrebbe ottenuto la supremazia sulla prima catena di isole entro il 2010, mentre la seconda sarebbe stata assoggettata intorno al 2020, con il controllo infine dell'Oceano Indiano e Pacifico fissato nel 2040. Ovviamente questa previsione si è rivelata troppo ottimistica, e le navi da guerra statunitensi continuano a navigare perfino nel Mar Cinese Meridionale, nelle acque rivendicate da Pechino, e nonostante la presenza di avamposti militari sulle isole Spratly e l'esibizione muscolare della forza militare da parte cinese. La strategia di Liu Huaqing infatti non prevedeva la ferma reazione americana, anzi pensava di intimorire Washington tanto da farlo arretrare, mentre l'intuizione dell'amministrazione americana ha suggerito che quel tratto di mare fosse una questione cruciale per le sorti del mondo, spostando con decisione l'attenzione in questa regione secondo la dottrina del pivot to Asia. Inoltre Pechino ha trovato un inaspettato ostacolo nell'ostinazione giapponese nel difendere anche le più piccole isole del suo territorio, come per il contenzioso delle isole Senkaku, che ha provocato l'avvio di un profondo processo di riarmo e riorganizzazione delle Forze di Autodifesa del Giappone. Le isole più meridionali del Giappone, le Sakishima, con la più vicina Ishigaki a soli 150 km dalle Senkaku, sono diventate il presidio di una difesa A2/AD (Anti Access/Area Denial) costituita da missili costieri antinave Type 88 e Type 12, dotati di una gittata di 200 km, antiaerei Type 03 Chu-SAM, e antibalistici PAC-3 Patriot. Il controllo è poi garantito da numerosi potenti radar: J/FPS-7 a Miyako e Okinoerabu, J/FPS-4 a Kume, e J/FPS-5C a Yozadake. A questi si è aggiunto recentemente il radar di Yonaguni, l'isola più remota posta a sud-ovest, con una portata di 320 km. Un altro problema insormontabile per la Cina è l'impossibilità di attaccare il Giappone senza coinvolgere le forze armate degli Stati Uniti. Infatti le basi giapponesi sono quasi tutte adiacenti a insediamenti militari americani, come nei casi evidenti di Yokosuka, Misawa, Atsugi, Sasebo, Iwakuni e Okinawa, e quindi uno scontro si tramuterebbe certamente in un conflitto di grandi dimensioni. Anche se si cercasse di limitare l'attacco con operazioni anfibie concentrate in una zona ristretta, il possesso del controllo del cielo e del mare da parte dei giapponesi renderebbe inattuabile ogni proposito di invasione. Per evitare uno scontro diretto con gli Stati Uniti nel Pacifico, Wang Jisi, preside della Scuola di Studi Internazionali di Pechino, propose nel 2012 una nuova strategia che orientava lo sforzo diplomatico, economico e militare verso ovest, in Asia centrale e meridionale, Medio Oriente e Africa. L'idea di "orientare a ovest" l'espansione della Cina ha avuto un enorme successo incontrando un'altra intuizione del presidente Xi Jinping fautore della Nuova via della seta. La strategia di Wang Jisi è indubbiamente molto intelligente perché considera complementari la dimensione economica, politica e militare, alternando brillantemente diplomazia, investimenti, costruzioni di infrastrutture, crescita finanziaria e rafforzamento militare, ed elaborando una teoria autenticamente geopolitica che tiene presente l'aspetto geografico. La Belt and Road Initiative (nota anche come One Belt One Road, in cinese Yidai yilu) è la realizzazione concreta di questa strategia che intende unire maggiormente la Cina all'Asia, Africa ed Europa con il potenziamento dei collegamenti e delle infrastrutture. Così la Cina avrebbe l'accesso alle risorse minerarie ed energetiche dell'Africa e del Medio Oriente, e simultaneamente aumenterebbe le esportazioni in Europa. Le forze armate sarebbero ovviamente impiegate per proteggere e garantire la circolazione delle merci per le vie marittime e terrestri. Questo progetto è certamente un capolavoro della strategia cinese perché si ispira ai princìpi della tradizione esposti dal maestro Sun Tzu che esortava a creare le condizioni per vincere la guerra senza combattere.   
  
America First  
 Le difficoltà della Cina nell'applicare i propri piani di espansione cominciano quando incontrano gli interessi degli Stati Uniti che non sembrano condividere l'opinione molto diffusa circa il declino della potenza americana. Anche questa credenza riguarda le scienze sociali, e in particolare la sociologia della comunicazione, come abbiamo descritto inizialmente, e il modo in cui si formano e rafforzano le opinioni. La convinzione che gli Stati Uniti siano una potenza in declino, destinati a essere superati dalla Cina prima nell'economia e poi nella politica, costituisce una costante di una narrazione antisistema. Questa narrazione è il prodotto della profonda insoddisfazione della classe media che è un fatto oggettivo, ma viceversa non è fondata la credenza che gli Stati Uniti siano in declino perché i dati economici ci dicono esattamente l'opposto. Al contrario, la Cina ha enormi problemi, ma a differenza dei paesi occidentali può controllare e manipolare l'opinione pubblica grazie alla censura della stampa e di tutti i mass-media, compreso internet. Se consideriamo come in questi anni sia rallentata la crescita del prodotto interno lordo cinese, arrivando a quasi dimezzarsi rispetto alla cifra dell'impressionante boom economico all'inizio del secolo, ci rendiamo conto che il tanto celebrato sorpasso degli Stati Uniti diventa più arduo e lontano. In proposito è utile ricordare come la situazione della Cina contemporanea sia stata brillantemente analizzata dal politologo Joseph Nye che ha messo in luce le tante difficoltà che le impediscono di diventare una potenza globale. Innanzitutto è criticabile il suo autoritarismo arcaico e paternalistico che non è paragonabile a nessun altro, e soprattutto la Cina non può essere in alcun modo ritenuta un modello politico, e infatti non ha mai proposto un modello che possa essere imitato, anzi si ritiene un'eccezione culturale, etnicamente e geograficamente determinata. Se si può obiettivamente riconsiderare un ridimensionamento consistente del potere degli Stati Uniti nel mondo, non si può sostenere comunque che ci sia in atto un sorpasso o un raggiungimento da parte della Cina tale da giustificare l'idea di un bipolarismo. Ciò che invece emerge è un multipolarismo caratterizzato da molteplici e diverse dinamiche, con pesi e forze anche molto differenti. Dal punto di vista militare gli Stati Uniti hanno ancora un enorme vantaggio, in particolare per quanto riguarda le capacità dell'armamento atomico. Nel 2018 l'arsenale nucleare americano era costituito da 1.750 testate nucleari operative, a cui si aggiungono altre 4.700 testate in stoccaggio, mentre le testate cinesi erano appena 280. Anche i missile intercontinentali cinesi basati a terra sono molto meno di quelli americani, e quelli imbarcati sui sottomarini sono anch'essi inferiori. Per quanto riguarda il confronto marittimo il paragone è impietoso perché se la Cina può vantare la costruzione di 2 portaerei, gli Stati Uniti dispongono di 11 portaerei (10 classe Nimitz e una Gerald Ford), tutte molto più grandi e potenti, a cui si aggiungono 66 cacciatorpediniere Aegis della classe Arleigh Burke e 22 incrociatori Ticonderoga. In conclusione la potenza economica e militare degli Stati Uniti è ancora schiacciante, e fa ritenere giustamente che essi rimarranno protagonisti nell'Oceano Pacifico e in Asia per molti anni ancora.   
  
Le alleanze fluide nella società liquida  
Una considerazione finale deve essere svolta in merito alle condizioni mutate in cui ci si accorda e si stringono alleanze. Il sociologo Zygmunt Bauman si riferisce alla società contemporanea postmoderna chiamandola "società liquida" per indicarne l'estrema mutevolezza, instabilità, incertezza e precarietà. In questo tipo di società le identità non sono mai ben definite, non vi sono certezze, tutto è molto veloce e continuamente in mutamento. Quindi, nel mondo attuale, se si vogliono realizzare delle alleanze militari bisogna concepirle nei termini delle "alleanze fluide" che sono intese sui reciproci vantaggi, senza pretendere che il contesto rimanga immutato oppure venga basato esclusivamente su fondamenti ideologici come avveniva in passato. Ci si rende conto già adesso quanto questo aspetto sia cruciale, e infatti le consuete alleanze "ideologiche" sono sempre più deboli, e lo si vede nei tanti contrasti fra Stati Uniti ed Europa, oppure nell'ambivalenza della Russia che fornisce armamenti molto avanzati all'India nonostante essa sia l'avversario più temibile per la Cina. Si rende necessario perciò una maggiore elaborazione teorica delle dottrine militari alla luce dei cambiamenti storici in atto, con un impegno intellettuale molto più forte perché oltre al possesso di armamenti sempre più sofisticati serve un'idea circa il modo di impiegarli, e questo aspetto non può essere delegato soltanto a tecnici o militari professionisti, ma è assolutamente una responsabilità politica.