sabato 16 dicembre 2023

Il Giappone e il multilateralismo

Articolo pubblicato dalla rivista "Panorama Difesa". Cfr. Cristiano Martorella, Il Giappone e il multilateralismo, in "Panorama Difesa", n. 422, anno XL, ottobre 2022, pp. 50-61. 

                    

Il Giappone e il multilateralismo 

Il Paese del Sol Levante ha creato una fitta rete di alleanze internazionali davvero impressionante che ridefiniscono gli equilibri fra potenze nel caotico mondo contemporaneo.             

di Cristiano Martorella 

                                                     

Con il termine multilateralismo si definisce l'atteggiamento e il comportamento coordinato di più stati che assumono politiche comuni e concordate per realizzare accordi internazionali e collaborazioni negli ambiti commerciali, del diritto e della sicurezza. Questa cooperazione internazionale si oppone all'unilateralismo delle grandi potenze che cercano di imporre con la forza le proprie decisioni, oppure al bilateralismo che prevede un accordo fra soltanto due potenze che ignora le le esigenze degli altri paesi. Recentemente il multilateralismo ha ricevuto una significativa rivalutazione a causa dell'atteggiamento assertivo di alcune potenze, in particolare Russia e Cina, che hanno deciso di usare la forza e le minacce per affermare le proprie pretese di espansionismo territoriale, e addirittura sostengono di essere le artefici di un "nuovo ordine mondiale", mentre in realtà stanno destabilizzando l'intero pianeta creando le condizioni per un clima di paura e sfiducia. In questo contesto il Giappone si inserisce come un fondamentale attore, sia in ambito regionale, sia nel quadro mondiale, essendo il principale avversario e competitore della Cina, e costituendo perciò il primario ed essenziale ostacolo all'ascesa di Pechino, ma è anche soprattutto un aggregatore di forze economiche e legami politici, indispensabile interlocutore per chiunque voglia operare in Estremo Oriente. Per questo motivo è importante capire il ruolo che il Giappone sta svolgendo nel ridefinire le relazioni fra le nazioni, che non sono soltanto un rapporto di forze, ma sono invece basate su una condivisione di valori, motivi simbolici e idee politiche. 

                                                                      

Il Giappone e la modernità

Prima di approfondire la descrizione del modo nel quale si articola attualmente l'interpretazione giapponese del multilateralismo, è necessario però fare una premessa storica per comprendere perché il Paese del Sol Levante è tanto importante per l'Occidente. Infatti il Giappone è stato il primo paese dell'Asia ad adottare le istituzioni della democrazia liberale, essendosi provvisto di una Costituzione nel 1889, e soprattutto  di un Parlamento (chiamato Dieta) entrato in funzione l'anno successivo, con una camera eletta direttamente dal popolo, e inoltre fu ancora nel XIX secolo che emerse come la prima potenza industriale dell'Asia, seguendo il modello di sviluppo capitalistico proposto dalla Rivoluzione Industriale (1760-1840) nata in Europa, e infine si affermò anche come potenza militare dopo aver sconfitto la Russia zarista nel 1905, applicando anche in questo caso gli insegnamenti degli occidentali circa la guerra moderna. Il Giappone ha quindi compiuto una chiara scelta ideologica scegliendo di far parte di quel mondo a favore dell'Occidente, e ciò è avvenuto da ormai quasi due secoli. Quando nel 1853 le navi del commodoro Matthew Perry arrivarono nella baia di Tokyo, imponendo con la forza al Giappone di aprire i propri porti alle navi straniere per permettere il commercio internazionale, le autorità politiche del paese si interrogarono sull'atteggiamento da assumere. I giapponesi iniziarono a studiare gli stranieri, inviarono alcune spedizioni all'estero, come l'ambasciata in Europa (1862) e la missione Iwakura (1871-1873), e si convinsero che le istituzioni feudali dell'Impero Giapponese erano arcaiche e inadeguate, e la modernità era inarrestabile oltre che desiderabile e auspicabile. Il processo di cambiamento che si innescò fu chiamato Bunmei kaika (Civilizzazione e illuminismo), e provocò trasformazioni radicali sia dal punto di vista sociale che economico, ma consentì al Giappone di sviluppare anche una propria interpretazione della modernità senza cancellare completamente la propria cultura e identità. Anche se le autorità politiche giapponesi furono costrette a firmare i cosiddetti Trattati ineguali (come la Convenzione di Kanagawa nel 1854) che consentivano alle potenze straniere di avere enormi vantaggi commerciali, in seguito si cercò di stabilire altri accordi più convenienti per entrambe le parti. Nel 1854 fu stipulato il Trattato di Amicizia Anglo-giapponese, nel 1858 il Trattato Ansei con Francia, Olanda, Regno Unito, Russia e Stati Uniti, e nel 1858 il Trattato di Amicizia e Commercio Nippo-americano. Diversamente dalla Cina che decise di affrontare militare le forze straniere, con la due Guerre dell'oppio (1839-1842 e 1856-1860) e la Rivolta dei Boxers (1899-1901), il Giappone decise di intraprendere un processo di riforme politiche, economiche e sociali , e portarsi così al livello delle potenze occidentali, mentre attraverso la diplomazia cercava di guadagnare una reputazione e garanzie di sviluppo. In questa fase si può dire che venne applicata una politica che era tendenziamente orientata al multilateralismo, perché si cercava di sfruttare l'equilibrio fra le diverse potenze per avere un ruolo più importante. Così, per esempio, si ottenne un grande sostegno dal Regno Unito per contrastare la Russia, dagli Stati Uniti per il controllo della Corea, e dagli Alleati contro la Germania durante la Prima guerra mondiale, che portò alla perdita delle colonie tedesche nell'Oceano Pacifico. Questo orientamento politico durò fino agli anni '30, quando l'Europa fu sconvolta dall'ascesa dei regimi autoritari come il fascismo e il nazismo, attirando le attenzioni di alcuni militari giapponesi che nutrivano una forte ammirazione per quella forma politica completamente alternativa alla democrazia liberale. Nel periodo chiamato Kurai tanima (Valle oscura) dal 1931 al 1941, il Giappone conobbe una drastica repressione dei diritti civili, una esclusione dei politici moderati dall'attività, e una concentrazione del potere nelle mani di una fazione dell'Esercito (la Toseiha) , in contrasto però con la Marina che non condivideva la fiducia nella Germania nazista. Questo nefasto periodo politico conobbe la sua fine definitiva nel 1945 con la sconfitta del Giappone durante la Seconda guerra mondiale, e ciò riportò rapidamente in auge l'elaborazione di una diplomazia internazionale e la collaborazione con gli altri paesi, impostate quindi sul concetto di multilateralismo, nonostante l'influenza preponderante degli Stati Uniti nel periodo del dopoguerra. 

                                                                         

I rapporti con l'India

Frequentemente l'India subisce un pregiudizio negativo, essendo evidentemente ancora un paese in via di sviluppo che deve ancora colmare molte deficienze, ma tuttavia non è corretta la sottovalutazione incomprensibile e assolutamente distante dai dati macroeconomici che conosciamo. In anni recenti l'India ha registrato tassi di crescita superiori a quelli cinesi, ed è previsto che divenga una delle potenze più grandi, con un prodotto interno lordo che si posizionerà in un prossimo futuro al quarto posto, dopo Cina e Giappone. Secondo altri economisti, già fra un decennio l'India potrebbe essere la terza potenza economica mondiale, diventando una seria minaccia per la Cina, e seguendola da vicino per un sorpasso clamoro. D'altronde l'India non conosce il problema della crisi demografica che attanaglia la Cina (provocata dalla politica del figlio unico applicata dal 1979 al 2013), e può contare su margini di crescita ancora elevati e migliorabili. Secondo le statistiche più recenti di alcuni centri di studio demografici, l'India avrebbe già superato la popolazione della Cina, divenendo il primo paese al mondo per numero di abitanti. L'economia indiana è destinata quindi a crescere ancora, migliorando sicuramente anche nei prossimi anni. L'India è anche una ragguardevole potenza militare dotata di armi atomiche, che possiede attualmente 160 testate nucleari (secondo un rapporto dell'istituto SIPRI), ma ha già accumulato plutonio weapons-grade per fabbricare altri 150-200 ordigni, e dispone di una riserva di più di 8 tonnellate di plutonio per uso civile, sufficiente a ricavare un migliaio di testate. La triade nucleare indiana si basa sul potere aereo, navale e terrestre, con l'aeronautica che fornisce capacità di bombardamento atomico con i cacciabombardieri Dassault Mirage 2000, la marina con i sottomarini lanciamissili della classe Arihant, e l'esercito con i missili balistici a corto raggio Prithvi, a medio raggio Agni-I e Agni-II, intermedio Agni-III e Agni-IV, e intercontinentale Agni-V. In questo modo l'India ha a disposizione i missili balistici Agni-II, Agni-III e Agni-IV in grado di colpire la Cina con testate atomiche, a cui si aggiunge il nuovo Agni-V più performante, e in futuro avrà anche l'Agni-VI dotato di testate MIRV. Questo sviluppo dei missili balistici indiani è destinato a subire un'ulteriore accelerazione a causa delle gravi tensioni nella regione asiatica, e soprattutto della rivalità geopolitica fra Cina e India che sicuramente aumenterà ancora. Impressionante è anche la realizzazione della nuova classe di sottomarini lanciamissili a propulsione nucleare chiamata Arihant, con il capoclasse che è entrato in servizio nell'agosto 2016, seguito da una seconda unità varata nel novembre 2017 col nome Arighat, che sarà presto operativa, mentre sono pianificati altri due battelli da costruire, per un totale di 4 sottomarini. Gli Arihant hanno un dislocamento di 6.000 t in emersione, con una lunghezza di 112 m e larghezza di 11 m, propulsi da un reattore nucleare pressurizzato che consente una velocità massima di 24 nodi. L'armamento principale è composto da quattro tubi lanciamissili che possono ospitare 12 missili K-15 Sagarika con una gittata di 750 km, oppure 4 missili K-4 con un raggio d'azione di 3.500 km. Questi SLBM (Submarine Launched Ballistic Missile) sono in grado di minacciare obiettivi militari cinesi, ma anche le più importanti città. In particolare, il K-4 ha una testata del peso di 2,5 t, stimata di una potenza massima di 250 chilotoni. Un'altra eccellenza è costituita dall'aeronavale con la nuova portaerei Vikrant che può vantare un dislocamento a pieno carico di circa 40.000 t, e il trasporto di 26 aerei e 10 elicotteri, per un totale di circa 36-40 aeromobili. 

In questo contesto risulta quindi chiarissimo che l'India è una potenza regionale, e non solo, di primissimo piano, e non sorprende dunque che il Giappone cerchi di intensificare un rapporto di collaborazione che già vanta una ricchissima tradizione e una lunga storia, ed è perciò in grado di avvalersi di ottime relazioni esistenti da lungo tempo. Pur essendo poco noto, il Giappone non ha soltanto la reputazione di paese aggressore durante la Seconda guerra mondiale, ma è ritenuto viceversa anche l'artefice del riscatto asiatico, avendo avuto il merito di aver cacciato le potenze occidentali opponendosi al colonialismo. Questo punto di vista è particolarmente sentito in India, ricordando il notevole appoggio che il leader indiano indipendentista Subhas Chandra Bose ricevette dai giapponesi durante il conflitto, con l'organizzazione della sua fuga e il sostegno alla lotta contro i britannici. Il concetto era riassunto all'epoca con lo slogan "l'Asia agli asiatici", e coadiuvato dall'elaborazione di una politica panasiatica però soltanto parzialmente applicata. Ancora oggi le relazioni fra India e Giappone sono eccellenti, e sono consolidate da interessi comuni e valori condivisi come l'assetto democratico basato sulle libere elezioni e la rappresentanza parlamentare, e alcune somiglianze delle religioni prevalenti come il buddhismo e i culti politeisti locali, induisti e shintoisti. Soprattutto sono convergenti le posizioni politiche su numerosi argomenti, compreso il tema della sicurezza, e in particolare la libertà di navigazione. Infatti, Nuova Delhi è preoccupata per la presenza delle navi militari cinesi nell'Oceano Indiano con l'accresciuta potenza navale di Pechino che minaccia l'intera area, ma anche per i mai sopiti contrasti per i contenziosi territoriali al confine presso l'Arunachal Pradesh e nella regione di Ladakh nel Kashmir, e perfino nel vicino Bhutan per il Doklam. Per questi motivi la collaborazione militare con il Giappone è cresciuta sempre di più, fino ad arrivare a un accordo formale molto ampio e articolato chiamato Joint Declaration on Security Cooperation between Japan and India. Questo accordo è stato firmato a Tokyo il 22 ottobre 2008 dal primo ministro indiano Manmohan Singh e l'omologo giapponese Taro Aso, e prevede la condivisione di un comune punto di vista sulla politica estera, la cooperazione delle forze militari con esercitazioni congiunte, lo scambio di informazioni e possibilmente la collaborazione nel settore dell'industria militare. Quest'ultima aspirazione è stata in effetti rispettata con l'acquisto da parte dell'India degli idrovolanti giapponesi ShinMaywa US-2. 

Tuttavia l'aspetto che più interessa all'India riguarda il controllo marittimo con l'opportunità di poter fare affidamento sulla potenza navale giapponese per respingere le ingerenze cinesi, ed è per questa motivazione che sono state notevolmente intensificate le esercitazioni Malabar. Le esercitazioni navali Malabar iniziarono nel 1992, originariamente come attività addestrative soltanto fra India e Stati Uniti. Il Giappone fu invitato a parteciparvi nel 2007, e poi nel 2015 divenne un membro permanente insieme a India e Stati Uniti. Altri partecipanti sono l'Australia e Singapore, ma non hanno ancora lo status di partner permanenti. Nel 2021 l'esercitazione Malabar si è svolta nel Mar delle Filippine e nella baia del Bengala, con la partecipazione delle navi di Giappone, India, Australia e Stati Uniti, fra le quali la portaerei americana Carl Vinson e la giapponese Kaga. Inoltre il Giappone ha anche cominciato a partecipare da solo alle esercitazioni navali con l'India, e la prima volta è avvenuto nella baia di Sagami nella prefettura di Kanagawa, il 9-10 giugno 2012, con l'impiego di due cacciatorpediniere giapponesi, quattro navi indiane e l'aviazione navale nipponica. Queste operazioni bilaterali sono sempre più frequenti, e l'India sembra aver trovato nel Giappone un ottimo partner che risponde in maniera soddisfacente alle richieste del gigante asiatico.  

                                                                        

I rapporti con l'Australia

Un altro interessante tassello nello scacchiere del Pacifico è rappresentato dall'Autrsalia, e e anche in questo caso il ruolo del Giappone è importante per molti aspetti, e gioca una essenziale funzione di collegamento con l'alleato americano. Infatti Tokyo ha stretto un accordo con Canberra sul tema della difesa chiamato Japan-Australia Joint Declaration on Security Cooperation. L'accordo fu firmato a Tokyo il 13 marzo 2007 dal primo ministro australiano John Howard e dall'omologo giapponese Shinzo Abe. La collaborazione prevede anche incontri bilaterali periodici, chiamati Australia-Japan Foreign and Defence Ministerial Consultations, fra i ministri degli Esteri e della Difesa, che permettono di approfondire la situazione, avviare nuovi progetti, ed esprimere una posizione politica condivisa. Finora Australia e Giappone hanno trovato una piattaforma politica comune su alcuni princìpi e valori irrinunciabili come la volontà di favorire e promuovere la democrazia e il rispetto dei diritti umani, l'osservanza delle leggi internazionali, l'applicazione delle norme per il libero commercio, e la garanzia della libertà di navigazione. Dal punto di vista militare, Australia e Giappone impiegano molti sistemi d'arma di fabbricazione statunitense, e intendono perciò intensificare la collaborazione e lo scambio di informazioni al riguardo. Il caso emblematico è il cacciabombardiere stealth F-35 che è stato comprato da entrambi i paesi, e dovrà avvalersi di strutture locali per la manutenzione, la riparazione e l'integrazione degli armamenti, e perciò si prevede quindi anche una cooperazione e attività operative comuni fra i velivoli delle due nazioni. Inoltre, il Giappone ha acquistato dall'Australia otto veicoli protetti Bushmaster dotati di caratteristiche particolari, con un elevato grado di protezione contro le mine, che vengono impiegati per le missioni speciali, e quindi è già un cliente per le forniture di armamenti. Inoltre il Giappone e l'Australia hanno raggiunto anche un altro importante accordo militare che stabilisce la possibilità per le proprie Forze Armate di accedere ai rispettivi territori, e quindi di poter svolgere esercitazione congiunte o altre attività comuni. L'accordo si chiama Japan-Australia Reciprocal Access Agreement, ed è stato firmato il 6 gennaio 2022 dal primo ministro giapponese Fumio Kishida e d dall'omologo australiano Scott Morrison. Il secondo aspetto della collaborazione fra i due paesi riguarda l'economia, ed è decisamente cruciale se gli si attribuisce il corretto valore da l punto di vista strategico. Firmato a Canberra l'8 luglio 2014 dai primi ministri Tony Abbott e Shinzo Abe, il Japan-Australia Economic Partnership Agreement (JAEPA) prevede un canale preferenziale per le esportazioni australiane in Giappone, garantendo una crescita complementare delle economie, considerando che l'Australia è un fornitore di materie prime e risorse energetiche indispensabili per la produzione industriale giapponese. 

Infine Canberra e Tokyo si sono poi dimostrate molto sensibili al tema della sicurezza informatica accogliendo l'invito di Washington a escludere le aziende cinesi Huawei e ZTE dalla partecipazione alla realizzazione delle infrastrutture delle reti telematiche. Da tempo è infatti in corso un braccio di ferro con Huawei e ZTE che sono esplicitamente accusate spionaggio, e di approfittare della loro posizione nel mercato per penetrare e acquisire dati illegalmente. 

                                               

Il ruolo nel Quad

Australia e India sono due paesi fondamentali anche per un altro motivo, essendo membri del Quad (abbreviazione di Quadrilateral Security Dialogue), composto da questi due paesi ai quali si aggiungono Stati Uniti e Giappone. L'importanza di questa organizzazione viene spesso sottovalutata, ma nell'ambito della crecente importanza della regione dell'Indo-Pacifico sta diventando sempre più cruciale. Il Quadrilateral Security Dialogue (noto anche come Quadrilateral  Initiative, e spesso abbreviato appunto con il termine Quad) è un forum intergovernativo che coinvolge le amministrazioni di Stati Uniti, Giappone, Australia e India. Il primo incontro avvenne il 25 maggio 2007 a Manila, e vide la partecipazione del premier giapponese Shinzo Abe, del vicepresidente statunitense Dick Cheney, del primo ministro australiano John Howard e del primo ministro indiano Manmohan Singh. Questo incontro fu seguito pochi mesi dopo dall'imponente esercitazione navale Malabar 2007 svoltasi il 4-7 settembre 2007 nel golfo del Bengala, nella quale furono impegnate le navi dei quattro paesi del gruppo, a cui si aggiunsero anche unità di Singapore. Fra le navi impiegate, circa 27, spiccavano le portaerei americane Nimitz e Kitty Hawk, l'indiana Viraat, gli incrociatori americani Cowpens e Princeton, i cacciatorpediniere John Paul Jones, Curtis Wilbur, Higgins e il giapponese Yudachi, e la fregata singaporiana Formidable. Da allora le esercitazioni Malabar sono continuate con cadenza annuale, mantenendo come membri permanenti gli Stati Uniti, il Giappone e l'India, e assumendo un valore strategico rilevante per il Quad, essendo la più formidabile attività militare congiunta dei quattro paesi. 

Il Quadrilateral Security Dialogue è stato poi rilanciato il 12 novembre 2017 a Manila, con un incontro che ha visto la partecipazione del premier giapponese Shinzo Abe, del presidente americano Donald Trump, del primo ministro australiano Malcolm Turnbull e del primo ministro indiano Narendra Modi. Questi incontri non comportano impegni ufficiali e non fissano nemmeno un programma definito, tuttavia rappresentano la cornice per la cooperazione dei paesi partecipanti che singolarmente hanno poi sviluppato l'uno con l'altro rapporti più profondi di collaborazione e alleanza militare. Nel 2017 Washington ha dichiarato di voler incrementare la collaborazione militare con Giappone, India e Australia, puntando ad assegnare un valore strategico a queste relazioni internazionali con i paesi della regione Indo-Pacifico. Si deve osservare che l'uso dell'espressione "regione Indo-Pacifico", in sostituzione della precedente "regione Asia-Pacifico", indica anche l'enfasi data dall'amministrazione americana alla cooperazione con l'India, che è effettivamente cresciuta in questi anni. Ciò dovrebbe rappresentare un'ulteriore accelerazione del cosiddetto pivot to Asia, con una prospettiva ancora più spinta nell'identificare l'Asia come la regione cruciale in futuro. Anche se Washington assume un ruolo fondamentale per il peso espresso e il ruolo svolto, bisogna però ricordare che le origini del forum sono da rintracciare altrove. Infatti il Quadrilateral Security Dialogue nacque all'inizio del 2007 da un'idea del premier giapponese Shinzo Abe che voleva allargare all'India gli incontri del già esistente Trilateral Strategic Dialogue fra Stati Uniti, Giappone e Australia. La proposta aveva un forte contenuto politico sostenendo l'idea di un "arco asiatico di democrazia" che intendeva coprire i paesi democratici garantendo la loro sicurezza, e promuovendo le attività economiche e il libero commercio. L'evoluzione, fra alti e bassi, ha portato a interessanti sviluppi, mostrando le enormi possibilità della cooperazione nel settore della sicurezza. 

Anche se il Quadrilaterl Security Dialogue è nato con l'evidente intenzione di contenere l'espansionismo cinese, non è necessariamente concepito soltanto come un'alleanza contro la Cina, anzi potrebbe avere altri obiettivi, se tale esigenza si rivelasse meno pressante. Piuttosto si devono considerare altri pericoli che possono minacciare la regione, come ha dimostrato l'escalation di provocazioni della Corea del Nord nel 2017, e non è nemmeno esagerato ritenere e sostenere che molte minacce che adesso ignoriamo potrebbero presentarsi in futuro in maniera inaspettata, e richiedere perciò una maggiore organizzazione e coordinamento fra le nazioni. 

                                                                 

I rapporti con il Regno Unito

La scelta di Londra di uscire dall'Unione Europea ha provocato una completa rivalutazione delle relazioni internazionali, con l'intenzione di guardare maggiormente all'Estremo Oriente e all'America per stringere rapporti più forti, e per ricostruire quindi un'economia su basi diverse. Ciò che si vagheggia è il sogno di un ritorno al modello dell'Impero Britannico che grazie alle sue relazioni internazionali extraeuropee sia capace di gestire commerci e finanze meglio di chiunque altro. Anche se è evidente che per il Regno Unito non è possibile un ritorno al passato, è comunque apprezzabile che vi sia un tentativo di stabilire una strategia di politica internazionale. Nell'ottica di questo ritorno in Estremo Oriente, Londra ha stipulato un accordo con il Giappone chiamato Japan-UK Joint Declaration on Security Cooperation firmato a Tokyo il 31 agosto 2017 dal primo ministro Theresa May e dall'omologo giapponese Shinzo Abe. La cooperazione fra Giappone e Regno Unito non è affatto stravagante, come si potrebbe superficialmente pensare, ma è piuttosto un nostalgico ritorno alle origini ricordando l'antica Alleanza Anglo-Giapponese (Nichiei domei) sancita con la firma di un trattato a Londra il 30 gennaio 1902, e rimasta in vigore fino al 1921. In base a questa alleanza il Giappone partecipò alla Prima guerra mondiale al fianco delle forze anglofrancesi, combattendo i tedeschi nelle loro colonie in Estremo Oriente, e arrivando addirittura a inviare alcuni cacciatorpediniere nel Mediterraneo a sostegno degli alleati. L'importanza della collaborazione anglo-giapponese fu notevole se si considera il contributo dato alla nascita della Marina Imperiale del Sol Levante, con la vendita di corazzate e incrociatori (fra cui ricordiamo l'eccellente classe Kongo), e alla creazione dell'aviazione imbarcata con l'assistenza fornita attraverso mezzi e personale (come gli aeroplani Sopwith Pup e Gloster Sparrowhawk utili per l'addestramento al decollo e appontaggio), e in particolare la missione Sempill (dal nome del capitano William Forbes-Sempill) che fu fondamentale per questo scopo. Attualmente la cooperazione fra i due paesi ha ripreso lo stesso andamento che era stato avviato in quel lontanto passato, e si sta concretizzando con progetti comuni nel settore dell'industria della difesa, con forme di assistenza come l'addestramento specializzato e con intense esercitazioni congiunte. Dal 23 ottobre al 4 novembre 2016,  si è infatti svolta in Giappone, presso le basi aeree di Chitose e Misawa, l'esercitazione Guardian North 16, a cui hanno partecipato caccia Eurofighter Typhoon della Royal Air Force e Mitsubishi F-2 e F-15J della Japan Air Self-Defense Force. Questa è stata la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale di un evento simile, e si è potuto assistere a una esercitazione fra aerei da combattimento inglesi e giapponesi che finora era alquanto insolita. 

Ancora più importante è stata l'esercitazione Vigilant Isles che si è svolta dal 30 settembre al 12 ottobre 2018 presso Ojijihara, nelle vicinanze della città di Sendai nella prefettura di Miyagi, e al Fuji Training Camp a Shizuoka, alle pendici del monte Fuji. In questa occasione hanno partecipato alle attività i soldati britannici dell'Honorable Artilery Company insieme ai colleghi giapponesi della JGSDF (Japan Ground Self-Defense Force). Si tratta della prima volta che il Giappone ha ospitato truppe non americane sul proprio territorio per un'esercitazione. Considerando l'elevata competenza dei soldati britannici, il contributo che il Regno Unito può fornire nell'addestramento è dunque altissimo, ma può garantire anche la preparazione per sviluppare tattiche adeguate a condizioni particolari di combattimento come la riconquista di un'isola (esperienza vissuta realmente nelle Falkland). Un altro importantissimo evento è stato il viaggio in Estremo Oriente della portaerei Queen Elizabeth che ha svolto molte esercitazioni congiunte con le marine straniere, ma la più importante è stata senza dubbio la Pacific Crown 21 che si è tenuta in diverse fasi, in tempi e luoghi differenti. Nella quarta fase, chiamata Pacific Crown 21-4, effettuata dall'8 al 9 settembre 2021 nella baia di Uruga in Giappone, la portaerei britannica ha svolto l'esercitazione con la portaerei Izumo e la portaelicotteri Ise, verificando l'interoperabilità dei sistemi e la possibilità di condurre insieme una missione. In effetti queste unità sono concepite per l'impiego di alcuni aeromobili utilizzati da entrambe, ossia i caccia F-35B e gli elicotteri AgustaWestland AW101 (denominati MCH-101 dalla JMSDF e HM1 Merlin dalla Royal Navy). La squadra navale del CSG21 (Carrier Strike Group 21) includeva anche il cacciatorpedinere britannico Defender, la fregata olandese Evertsen, la fregata canadese Winnipeg, e le navi cisterna britanniche Tidespring e Fort Victoria. Nella prima fase, chiamata Pacific Crown 21-1, che si è invece svolta dal 25 al 26 agosto 2021 al largo di Okinawa, il CSG21 si è esercitato con il cacciatorpediniere multiruolo giapponese Asahi e la portaelicotteri Ise, che per l'occasione imbarcava gli elicotteri d'attacco AH-64 DJP Apache della JGSDF (Japan Ground Self-Defense Force). Estremamente significativa è stata la cerimonia del 6 settembre 2021, quando il ministro della Difesa giapponese Nobuo Kishi è salito sulla Queen Elizabeth durante la sua permanenza alla base navale di Yokosuka, e dopo aver visitato a lungo la nave, ha tenuto una conferenza a bordo della portaerei. Nobuo Kishi ha affermato che il Regno Unito ha fornito una valida dimostrazione della sua volontà di impegnarsi nel mantenimento della pace e della stabilità nella regione indo-pacifica, e che il Giappone sosterrà questo sforzo in ogni modo, e queste parole sono risuonate ovviamente come un forte monito per chi vuole invece sovvertire l'attuale ordine mondiale e imporre con la prepotenza nuovi confini invadendo i territori controllati da altri paesi, o anche soltanto impedendo la libera navigazione in totale disprezzo del diritto internazionale. Il Regno Unito intende perciò approfittare della collaborazione con il Giappone per utilizzare le basi navali nipponiche come punto di appoggio, rifornimento e manutenzione delle navi inviate in Estremo Oriente, in difesa degli interessi britannici. Infine, un settore in cui Londra e Tokyo vogliono collaborare maggiormente riguarda l'industria della difesa. Si sta infatti cercando di coinvolgere sia il governo sia le aziende giapponesi nel progetto del Tempest, un caccia stealth di sesta generazione che dovrebbe volare intorno al 2035 circa, ed è sostenuto da importanti gruppi come BAE Systems, Leonardo, MBDA, Rolls Royce e Saab. Inoltre è sempre più convinta l'adesione e il sostegno anche al progetto giapponese di un caccia di sesta generazione, temporaneamente chiamato F-X, che potrebbe condividere molte tecnologie del Tempest. In questo caso le aziende inglesi parteciperebbero alla realizzazione del nuovo caccia giapponese F-X fornendo un essenziale contributo. Un altro progetto caldeggiato riguarda il missile aria-aria Meteor che potrebbe essere acquistato per armare i caccia F-35 giapponesi, esigenza che sembra essere molto sentita a Tokyo. Perciò è anche stata avviata una collaborazione per realizzare una versione migliorata del Meteor dotata di un seeker prodotto da Mitsubishi Electric, variante chiamata JNAAM (Joint New Air-to-Air Missile), con la possibilità che i primi test di questo missile possano iniziare già nel 2023. Questo fiorire di attività fa intendere che i possibili progressi in questi settori siano destinati a essere sicuramente incrementati. 

                                                                            

Il ruolo nella Free and Open Indo-Pacific-Strategy 

Il concetto di Free and Open Indo-Pacific Strategy fu esposto per la prima volta dal premier giapponese Shinzo Abe nell'agosto 2016, durante la Tokyo International Conference on African Development (TICAD) svoltasi in Kenya, e prevede la realizzazione di una maggiore integrazione fra le economie africane e asiatiche nella regione che va dall'Oceno Pacifico all'Oceano Indiano. Il progetto ha trovato l'immediato sostegno di Stati Uniti, India e Australia, e costituisce un evidente tentativo per contrastare la Belt and Road Initiative (meglio conosciuta come "Nuova Via della Seta") proposta dalla Cina nel 2013. Il concetto alla base della Free and Open Indo-Pacific (FOIP) si distingue per una maggiore enfasi posta sui valori democratici, sulla trasparenza e sulla sostenibilità dei progetti, e l'impiego di massicci investimenti infrastrutturali che coinvolgano anche la manodopera locale (a differenza di ciò che accade con i progetti cinesi). Ovviamente i risvolti militari saranno enormi, perché si prevede di garantire la libertà di navigazione e la circolazione delle merci in un'immensa regione del mondo, dove già adesso esistono molti contenziosi territoriali (la maggior parte provocate dalle irrisolte rivendicazioni cinesi). I sostenitori della strategia sono innanzitutto i paesi che costituiscono il Quadrilateral Security Dialogue (Quad), ovvero Stati Uniti, Giappone, Australia e India, che rappresentano il nocciolo duro del progetto, a cui si prevede l'adesione di numerose nazioni del Sud-Est Asiatico come Filippine, Thailandia, Vietnam, Singapore e Indonesia. Le implicazioni di questa strategia sono davvero importanti e complesse, e meritano senza dubbio un'attenzione particollre, e perciò è necessario inquadrare correttamente e approfonditamente il significato della Belt and Road Initiative, a cui la Free and Open Indo-Pacific Strategy si oppone non soltanto come sistema di infrastrutture, ma anche  ideologicamente. In proposito è utile ricordare come l'economia sia innanzitutto considerata dai cinesi come un fattore competitivo di straordinario valore militare, e venga inquadrata nell'ambito di una concezione multidimensionale della guerra. Fra gli strateghi che hanno messo in risalto tale aspetto, meritano di essere citati Wang Xiangsui e Qiao Liang, autori del libro Guerra senza limiti, scritto nel 1999, nel quale si sosteneva la necessità per la Cina di affrontare gli Stati Uniti in una guerra non convenzionale, sfruttando l'economia, manipolando la finanza e ottenendo il controllo dei media. Questo approccio è molto radicato nel pensiero cinese, e può essere rintracciato nella tradizione, a partire dal classico L'arte della guerra di Sun Tzu, ma soprattutto con I metodi di Sima (Sima Fa), dove si ribadisce come la guerra sia uno strumento di governo, che il potere derivi dall'autorità, e che ogni mezzo sia lecito per mantenerlo. Ciò si ricollega anche al pensiero della Scuola del Legalismo (Fajia), che fu più importante perfino del pensiero di Confucio, e affermava la sua concezione politica secondo la quale la supremazia dello stato sull'individuo deve essere assoluta, ed è da perseguire con qualsiasi mezzo e metodo. Questa prospettiva è stata ripresa nei nostri tempi, secondo i precetti della guerra ibrida e non convenzionale, ed è stata riproposta nel progetto della cosiddetta "Nuova Via della Seta", ufficialmente definita come Belt and Road Initiative. Il piano è nato da una proposta di Wang Jisi, preside della Scuola di Studi Internazionali dell'Università di Pechino, che nel 2012 suggerì sulle pagine del Global Times di "orientare a ovest" lo sforzo diplomatico ed economico della Cina, creando collegamenti più forti con l'Africa, il Medio Oriente e l'Europa. Il progetto fu poi presentato ufficialmente dal presidente Xi Jinping nel settembre 2013, e divenne noto come Belt and Road Initiative (anche conosciuto come One Belt One Road, in cinese Yi dai yi lu). La Cina intende così costruire nuove infrastrutture (porti, ferrovie e strade) per sfruttare le risorse energetiche e minerarie dell'Africa e del Medio Oriente, e incrementare le esportazioni verso l'Europa. Per fare ciò sono state individuate due strade, la prima costituita da una strada terrestre, e la seconda rappresentata dalle rotte marittime. Inoltre si vuole ottenere il controllo completo del sistema logistico, dei mezzi di trasporto e comunicazione, affermando così la propria supremazia assoluta. Tuttavia gli accordi commerciali presentati come estremamente vantaggiosi per i partner, sono soltanto utili per conseguire i progetti della Cina, e nascondono anche obiettivi militari come la creazione di nuove basi militari all'estero, e soprattutto di porti in grado di ospitare le navi da guerra, oltre che nel Sud-Est Asiatico e nell'Oceano Indiano, anche nel Mediterraneo. 

L'intero progetto riprende infatti le teorie di due classici della geopolitica, ovvero Halford Mackinder (1861-1947) e Nicholas Spykman (1893-1943). Secondo il geografo inglese Mackinder, esisterebbe un perno geografico del mondo che se controllato permetterebbe di governare l'intero pianeta, mentre il professore di relazioni internazionali Spykman sosteneva che l'area determinante di questo dominio sarebbe rappresentata invece dai mari circostanti ai continenti. Le due terorie sono quindi riassunte dai concetti di Heartland per Mackinder e Rimland per Spykman. Ebbene, la Belt and Road Initiative costituisce un modo per coniugare entrambe le teorie geopolitiche perché intende esercitare un serrato controllo sul continente attraverso la strada terrestre, e un dominio sui mari tramite le rotte marittime commerciali. Ovviamente, con il pretesto di garantire la sicurezza delle infrastrutture, ogni presidio sarebbe rapidamente tramutato in una base militare o un avamposto pesantemente occupato dalle forze militari cinesi. Unendo le teorie di Mackinder e Spykman, si mostra chiaramente che l'obiettivo è ottenere il controllo totale del mondo, potendo così gestire la più grande area del pianeta costituita da Europa, Asia e Africa. Davanti a un piano così ambizioso, ma ancora da realizzare e in gran parte bloccato dai gravi eventi accaduti (crisi della pandemia, crisi energetica e della supply chain, e crisi della guerra russo-ucraina), è quindi doveroso rispondere con decisione, ed è evidente che la Free and Open Indo-Pacific Strategy diventa il progetto più chiaro ed efficace per replicare a questo tipo di minaccia. Il Giappone può dunque giocare un ruolo fondamentale anche in questa circostanza, essendo la terza economia mondiale, e può perciò far sentire il suo peso e potenza, avendo anche grandi capacità nella gestione delle infrastrutture, dei trasporti, e delle tecnologie avanzate per le telecomunicazioni. 

                                                       

I rapporti con il Vietnam

Negli ultimi anni i rapporti fra il Vietnam e il Giappone sono straordinariamente migliorati e si sono intensificati a livelli inaspettati, tanto da concludere accordi di collaborazione militare che prevedono esercitazioni congiunte, appoggio logistico e forniture per l'industria della difesa. Il principale accordo alla base di questa collaborazione si chiama Japan-Vietnam Extensive Partnership for Peace and Prosperity, e fu firmato a Tokyo il 14 marzo 2014 dal presidente vietnamita Truong Tan Sang e dal premier giapponese Shinzo Abe. Questo documento prevede un ampio spettro di interventi che riguardano l'economia, ma anche la sicurezza, con un'attenzione considerevole per la difesa. Infatti, il Vietnam, come altri paesi, ha gravi contenziosi territoriali con la Cina, in particolare per le isole Spratly e Paracel, e vede minacciata seriamente la sua integrità e sovranità. Perciò, già nel 2007 il Vietnam e il Giappone avevano deciso di creare un Joint Cooperation Commitee, con il quale si stabilivano incontri regolari fra i ministri dei due paesi. Nello stesso anno fu dichiarato che il Vietnam avrebbe ospitato le navi da guerra giapponesi nei propri porti, in occasione di visite ed esercitazioni congiunte. Ciò è avvenuto con sempre maggiore frequenza, a cominciare dal 17 settembre 2018, quando il sottomarino Kuroshio fu ospitato nel porto di Cam Ranh. La portaerei Izumo e il cacciatorpediniere Murasame vennero accolti sempre a Cam Ranh il 14 giugno 2019, mentre la portaerei Kaga e il cacciatorpediniere Ikazuchi, insieme al sottomarino Shoryu (decima unità della classe Soryu), vi ormeggiarono l'11 ottobre 2020. Più recentemente, il 24 febbraio 2022, i cacciatorpediniere Hatakaze e Inazuma furono ospitati al porto di Tien Sa, presso la città di Da Nang. Intense sono anche le esercitazioni navali, come quella del 17 giugno 2019, alla quale parteciparono anche navi importanti come la Kaga. Inoltre i rapporti diplomatici sono davvero di alto profilo, come la visita in Vietnam di Takeshi Iwaya, ministro della Difesa giapponese, il 3 maggio 2019, che portò alla firma di un memorandum per rafforzare la cooperazione nell'industria della difesa. A quanto pare il Giappone trasferirà tecnologie per le costruzioni navali, così da permettere al Vietnam di realizzare un salto qualitativo notevole. Decisiva fu anche la visita in Vietnam, dal 18 al 20 ottobre 2020, del premier giapponese Yoshihide Suga, che confermò la collaborazione e addirittura la fornitura di equipaggiamenti militari per consentire al paese di dotarsi di una difesa all'altezza delle minacce. 

                                                                     

I rapporti con le Filippine

Ancora più solidi e duraturi sono i rapporti fra Filippine e Giappone, considerando anche che quest'ultimo è il principale investitore straniero nelle Filippine, e quanto sia importante perciò la presenza di aziende giapponesi. Ultimamente però queste relazioni hanno decisamente imboccato una svolta, non limitandosi soltanto al settore economico, ma sviluppandosi per quanto concerne la sicurezza, l'industria militare, le forniture di armamenti e le esercitazioni congiunte, raggiungendo un buon livello di collaborazione. Un atto simbolico di questa svolta è rappresentato dalla visita nelle Filippine, dal 4 all'8 giugno 2017, della portaerei Izumo accompagnata dal cacciatorpediniere Sazanami , impegnata nella missione di assistenza Pacific Partnership (PP17). Attraccata al porto di Subic sull'isola di Luzon, il 4 giugno 2017, la nave fu visitata dal presidente filippino Rodrigo Duterte che enfatizzò la visita affermando che "l'amicizia storica" fra i due paesi si stava rafforzando ancora di più, e inoltre le Filippine avrebbero appoggiato il Giappone nella sua politica per il rispetto delle leggi internazionali sulla navigazione (questione che riguarda anche le Filippine a causa dei contenziosi territoriali con la Cina). Questa dimostrazione di forza da parte del Giappone, che esibiva platealmente la nave più grande e potente a sua disposizione, si è ripetuta dal 30 giugno al 3 luglio 2019, quando la portaerei Izumo, accompagnata dai cacciatorpediniere Murasame e Akebono, tornò nella baia di Subic per rinnovare la visita. Ormai questa presenza è diventata ordinaria, e inoltre si è rafforzata anche la collaborazione su altri versanti. Si consideri, per esempio, che la prima esercitazione all'estero della nuova Brigata Anfibia (Suirikukidodan) giapponese sia stata appunto nelle Filippine, durante l'esercitazione Kamandag, svoltasi il 2-11 ottobre 2018 a Zambales, sull'isola di Luzon. Recentemente, le esercitazioni anfibie giapponesi si sono intensificate, così da costituire un chiaro messaggio alle forze ostili nella regione, e infatti appare chiaro che queste unità sarebbero usate anche per la difesa degli alleati e dei paesi amici, fra i quali ovviamente ci sono anche le Filippine. Ricordiamo inoltre che il Giappone e le Filippine partecipano regolarmente anche all'esercitazione RIMPAC (Rim of the Pacific Exercise), la più grande esercitazione navale del mondo, e quindi quest'ultime stanno acquisendo gradualmente le capacità per interagire e operare con le unità navali dei loro alleati. Un altro aspetto importante riguarda la vendita di armi e sistemi per la difesa, con un contratto firmato nel 2020 per l'acquisizione da parte filippina degli avanzatissimi radar J/FPS-3 e J/TPS-P14 prodotti da Mitsubishi Electric. In questo modo il paese asiatico si dota dei sistemi più moderni e sofisticati per la difesa aerea, considerando che il J/FPS-3 è un radar a scansione elettronica in banda L con una portata di oltre 550 km, mentre il J/TPS-P14 è un radar per la sorveglianza aerea a scansione elettronica in banda S, accreditato di un raggio d'azione di circa 400 km. 

                                                                       

Multilateralismo contro sovranismo

L'importanza del multilateralismo come prospettiva politica per le relazioni fra nazioni appare chiara e lampante quando viene confrontata con un'altra ideologia che si configura come completamente opposta, ossia il sovranismo. Con l'espressione sovranismo si identifica un atteggiamento politico che non è ben definito, e si ispira all'idea di sovranità come concetto fondamentale, e spesso in contrapposizione con la concertazione e il dialogo fra paesi, e con una vocazione per la chiusura e l'isolamento in difesa di una supposta identità fortemente minacciata. Il sovranismo si distingue nettamente dal nazionalismo perché si configura come un fenomeno in opposizione alla globalizzazione e ai processi di internazionalizzazione, mentre storicamente il nazionalismo è nato nelle potenze del XIX secolo, in realtà come l'Impero Britannico che avevano sviluppato un commercio internazionale molto vivace e in tumultuosa crescita, il quale coinvolgeva una rete mondiale di rapporti economici e politici. Attualmente il sovranismo si configura come un rozzo coacervo di idee che servono a giustificare una politica autoritaria nettamente in contrasto con i valori della democrazia liberale, e per questo motivo risulta estremamente utile ai regimi che non possono richiamarsi apertamente a ideologie condannate dalla storia, come il fascismo, il nazismo e il comunismo. In particolare, il pensiero politico cinese contemporaneo appare dominato dall'idea di sovranità in maniera parossistica, interpretando la sovranità come il dovere supremo dello stato di imporre con la forza un espansionismo territoriale senza limiti. Evidentemente questa formulazione del sovranismo risente l'influenza dell'antico pensiero della Scuola del Legalismo (Fajia) che affermava la sua concezione politica secondo la quale la supremazia dello stato sull'individuo deve essere assoluta, ed è da perseguire con qualsiasi mezzo e metodo. Tuttavia sono anche da considerare le condizioni attuali della Cina che essendo ben lontana da aver risolto i suoi problemi sociali ed economici, punta su un inasprimento della repressione per mantenere una coesione sempre più precaria. Il sovranismo ha conosciuto un notevole successo anche in Russia, grazie soprattutto all'ideologo Aleksandr Dugin che viene indicato come l'esponente più significativo di questa corrente politica. Anche in questo caso non ci si deve far ingannare dalle pretese di questa ideologia, perché il presidente Putin non ha certo la necessità di una copertura politica per giustificare le sue scelte, essendo fin troppo chiara e definita la sua volontà di ricreare una grande potenza vaneggiando la magnificenza della Russia zarista. In questo caso il sovranismo può apparire come una semplice giustificazione di una politica basata sul terrore, la minaccia e l'uso spregiudicato della forza militare. Sarebbe inesatto descrivere il sovranismo come un fenomeno circoscritto ai regimi autoritari, perché le democrazie occidentali sono erose internamente da movimenti e partiti politici che si ispirano esplicitamente a questa ideologia. In Occidente è stato Donald Trump a rappresentare l'alfiere più controverso, pericoloso e distruttivo dei valori della democrazia liberale, indicando nel sovranismo la sua prospettiva politica più decisa, e cancellando quindi ogni relazione equilibrata fra stati, preferendo i rapporti bilaterali spesso rivelatisi clamorosi insuccessi (si veda il caso della Corea del Nord), l'isolazionismo e la conflittualità (condiderando l'Unione Europea come un avversario piuttosto che un alleato). 

                                                            

Le scelte del Giappone

Ormai è da molti anni, fin dal primo dopoguerra, che il Giappone ha abbandonato una visione unipolare del mondo determinata anche dall'alleanza nefasta con il nazifascismo, e ha ripreso a sviluppare le relazioni internazionali improntate al concetto di multilateralismo. L'interprete più brillante di questa politica estera è senza dubbio Shinzo Abe (1954-2022), recentemente scomparso a causa di un attentato, che è stato il premier giapponese ad aver governato più a lungo (2006-2007 e 2012-2020), e ha perciò profondamente influenzato la storia del suo paese. Nonostante Abe sia ricordato per aver ridato dignità alle Forze di Autodifesa (Jieitai) e avviato un processo di riarmo che ha portato il Giappone a essere attualmente la quinta potenza militare del mondo, i suoi maggiori successi sono però di carattere diplomatico, ed è questo aspetto che dovrebbe essere rimarcato. Secondo questa prospettiva non serve soltanto la forza militare per governare il mondo, ma anche e soprattutto idee politiche, e una prospettiva di sviluppo che tenga in considerazione tutti i paesi. Questa è una visione che corrisponde esattamente al multilateralismo, e nonostante tutto la scuola di pensiero di Shinzo Abe non è affatto terminata con la sua morte, perché i suoi successori, prima Yoshihide Suga, e poi Fumio Kishida, stanno portando a compimento questo progetto politico. Nel caso di Fumio Kishida, bisogna ricordare che è stato un ottimo Ministro degli Esteri nel governo Abe, ed è perciò la personalità più autorevole a interpretare il suo pensiero. Quindi si può dire che questa scuola di pensiero continuerà a essere determinante per la politica del Giappone, e proseguirà senza alcun dubbio. Spesso Shinzo Abe ricordava un antico proverbio giapponese che afferma che "tre frecce insieme non possono essere spezzate" (sanbon no ya nara orenai), un'idea semplice la quale significa che l'unione fa la forza. Oggi il Giappone è visto in Asia come una forza capace di attrarre intorno a sé i paesi che non vogliono subire l'egemonia cinese, ma è anche in grado di rispondere fermamente alle minacce del regime della Corea del Nord, che da quando si è dotato di armi atomiche è in preda a un autentico delirio di onnipotenza. Davanti a questo tipo di minacce emerge chiaramente che da una parte ci sono entità politiche autoritarie e intransigenti, che però credono soltanto nella propria forza e nei rapporti di dominio, dove non è ammesso nient'altro che l'imposizione della propria volontà, mentre dall'altra parte ci sono entità politiche che concepiscono le relazioni internazionali fondate sul rispetto reciproco. Questa semplificazione rende chiara come sia opposta la prospettiva del multilateralismo e del sovranismo, quest'ultimo votato alla conflittualità, allo scontro, all'instabilità, alla guerra, e infine alla distruzione non soltanto dell'avversario ma anche della propria società ed economia, mentre il primo concepisce i rapporti di forza soltanto nell'ambito di un equilibrio e una stabilità politica e internazionale. 

    




 


La corsa agli armamenti del Giappone

Articolo pubblicato dalla rivista "Panorama Difesa". Cfr. Cristiano Martorella, La corsa agli armamenti del Giappone, in "Panorama Difesa", n. 428, anno XLI, aprile 2023, pp. 68-75. 

                               

La corsa agli armamenti del Giappone 

Con la pubblicazione della nuova strategia per la sicurezza, il Paese del Sol Levante si appresta a potenziare il proprio strumento militare, sostenuto da un bilancio della Difesa intorno al 2% del Pil e da ambiziosi progetti.   

di Cristiano Martorella    

                                            

Il governo giapponese, guidato dal primo ministro Fumio Kishida, ha pubblicato tre importanti documenti giudicati come fondamentali e di notevole impatto per il futuro della nazione. Questi tre documenti, approvati il 16 dicembre 2022, sono la National Security Strategy, la National Defense Strategy e il Defense Buildup Program, e presentano un'analisi delle principali minacce al Giappone, che sono rappresentate dalla Cina e dalla Corea del Nord, suggerendo l'adozione di una strategia basata sulla capacità di contrattacco (hangeki noriki), e l'impiego di armi in grado di colpire il territorio nemico in profondità. Inoltre si pone l'obiettivo di raggiungere in un quinquennio una spesa per la Difesa pari al 2% del prodotto interno lordo. Questa nuova capacità offensiva del Giappone dovrebbe essere ottenuta attraverso la detenzione di una panoplia molto vasta di missili da crociera di diverso tipo, adottati in grandi quantità e varietà, da usare su navi, sottomarini, aerei e veicoli terrestri, quest'ultimi facili da trasportare e schierare, e ciò dovrebbe essere improntato alla massima mobilità e flessibilità di impiego, secondo una dottrina che prevede abilità idonee per sfuggire agli attacchi nemici. L'acquisizione di tali armi sembra caratterizzata da una notevole frenesia e fretta per costituire un forte deterrente, e affrontare così conseguentemente ogni situazione di crisi che possa verificarsi, ma anche per rispondere all'aggressiva retorica dei regimi autoritari che considerano la politica di potenza come determinante nelle relazioni fra nazioni. Ma ciò che più impressiona, è l'atteggiamento deciso con il quale si considera altamente probabile uno scontro con la Cina, e ci si prepara perciò all'eventualità peggiore. 

                                                               

Il contesto politico e giuridico

Prima di analizzare in dettaglio la nuova strategia offensiva del Giappone, è necessario una premessa per capire come ciò si possa inserire nel quadro normativo e legislativo della nazione, senza alcuna incongruenza o contraddizione con i principi della Costituzione. Con le espressioni "attacco alla base nemica" (teki kichi kogeki) e "attacco all'origine" (sakugenchi kogeki) si intende una interpretazione del principio di autodifesa che è in discussione fin dall'immediato dopoguerra. Il concetto ribadisce il diritto del Giappone di difendersi da un attacco nemico colpendo l'origine di questo attacco, ossia la base nemica, anche se in territorio straniero. Già nel 1956 il primo ministro Ichiro Hatoyama aveva dichiarato questo concetto con parole decise ed estremamente chiare: "Quando viene commessa una violazione della legge internazionale, e viene compiuto un attacco o un bombardamento sulla nostra terra, secondo alcuni dovremmo sederci e attendere la distruzione. Non penso che sia possibile. In tali casi bisogna adottare le misure necessarie per prevenire questi attacchi. E se non esistono altri mezzi per difendersi da tali attacchi nemici, credo che sia legalmente incluso nell'ambito dell'autodifesa colpire le basi da cui partano questi attacchi. Non penso che la Costituzione preveda che restiamo fermi in attesa della nostra distruzione". Ciò mostra come la discussione sul "teki kichi kogeki" (attacco alla base nemica) risalga addirittura al 1956, quando il primo ministro Ichiro Hatoyama assunse questa posizione al riguardo della difesa, ma l'evoluzione del concetto è anche direttamente collegata alle capacità di contrattacco (hangeki noriki) del Giappone, e molti esperti ne parlano appunto in relazione a queste potenzialità. Inoltre, uno sviluppo politico molto significativo avvenne nel luglio 2006, quando Taro Aso, ministro degli Esteri del governo Koizumi, dopo i ripetuti test missilistici nordcoreani dichiarò che se fosse stato necessario il Giappone avrebbe potuto condurre una attacco preventivo contro la Corea del Nord. L'affermazione, che in quel periodo sembrò dirompente, divenne poi una pietra miliare della politica giapponese, fornendo una visione più ampia del principio di autodifesa. Non soltanto il Giappone considerava legittimo un "attacco alla base nemica", ma valutava anche l'opportunità di un "attacco preventivo" (preemptive attack). Secondo il politologo Narushige Michishita, già nel 1956 le dichiarazioni del primo ministro Ichiro Hatoyama indicavano implicitamente la possibilità di un attacco preventivo come opzione possibile. Anche giuristi e legali hanno confermato la validità di questa interpretazione del principio di autodifesa, e quindi davanti all'evidenza di un imminente attacco nemico, il Giappone è legittimato a rispondere a tale minaccia sopprimendo all'origine il pericolo. Tuttavia una decisa definizione di questi concetti è stata fornita soltanto con i numerosi provvedimenti legislativi del primo ministro Shinzo Abe, e in particolare con la Legge sulla pace e la sicurezza (Heiwa anzen hosei), presentata il 1° luglio 2014, approvata definitivamente il 19 settembre 2015, ed entrata in vigore il 23 marzo 2016. Questa legge introduce il concetto di "difesa collettiva" (shudan teki jieiken), che permette di intervenire in difesa degli alleati sotto attacco, autorizzando anche l'intervento all'estero, e sostituisce l'orientamento  verso una "difesa esclusivamente protettiva" (senshu boei) con il "pacifismo proattivo" (sekkyoku teki heiwashugi) che intende eliminare le minacce alla pace e alla stabilità.

                                                               

L'opinione pubblica

Le scelte politiche devono però coniugarsi con le tendenze dell'opinione pubblica, e bisogna riconoscere che in questo momento storico nei giapponesi c'è soprattutto una forte preoccupazione per la sicurezza del proprio paese, continuamente minacciato da potenze aggressive e spregiudicate come la Corea del Nord e la Cina. In particolare, i continui e reiterati test missilistici nordcoreani che sorvolano i cieli del Giappone, provocano un senso di insicurezza che cerca naturalmente nel riarmo del proprio paese una forma di rassicurazione, mentre le richieste irrealistiche della Cina, che rivendica sempre più ampie porzioni del territorio di altre nazioni, influenzano una visione di un'aggressione in atto che i media giapponesi descrivono sempre più spesso con la parola "invasione". D'altronde i movimenti pacifisti locali non sono né determinanti né efficaci in una eventuale critica alla politica di riarmo del paese. Si consideri che la più importante formazione pacifista buddhista, rappresentata dal Komeito (Partito dell'onestà), si ritrova nella coalizione di governo, e non si oppone alla politica della sicurezza nazionale, perché considera ancora accettabile il quadro istituzionale che definisce i limiti dell'azione militare nell'ambito dell'autodifesa. Ciò significa che la crescita del potenziale bellico del Giappone non trova ostacoli politici, ma piuttosto si deve concentrare sull'articolazione della realizzazione materiale di questa difesa, finora astrattamente definita. Risultano perciò pretestuose e puramente ideologiche le argomentazioni delle forze politiche conservatrici di centro-destra ed estrema destra, che chiedono la modifica dell'articolo 9 della Costituzione, essendo totalmente ininfluente nella politica di sicurezza del Giappone contemporaneo. Come fa notare il sociologo Johan Galtung, la Costituzione giapponese non sarebbe "pacifista" in senso assoluto, ma più modestamente "contro la guerra" come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Questo punto di vista smaschera una finzione sostenuta da molti politici conservatori, e in particolare da Ichiro Ozawa, che divenne famoso per la definizione di "paese normale" (futsu no kuni). Riassumento brevemente questa posizione politica, secondo Ichiro Ozawa il Giappone dovrebbe abbondonare la politica di disarmo e pacifismo tipica del dopoguerra, passando da un "paese amante della pace" (heiwa kokka) a un "paese normale" (futsu no kuni). Appare evidente che ciò che si rivendica non è il diritto alla pace e alla stabilità, ma l'idea politica di sovranità, estesa al diritto di dichiare e condurre una guerra contro gli altri paesi. Questa è un'idea politica che presenta una concezione precisa, ma non fornisce nessuna strategia definita per la sicurezza e la difesa. Paradossalmente, se l'articolo 9 della Costituzione fosse immediatamente abrogato, ciò non cambierebbe minimamente i problemi della sicurezza del Giappone. Per questi motivi, il primo ministro Fumio Kishida ha completamente abbandonato la proposta di modifica della Costituzione, fortemente sostenuta dal suo predecessore Shinzo Abe, per concentrarsi sulle questioni concrete della sicurezza, ovvero sulla realizzazione dello strumento necessario alla difesa del paese. Sicuramente ciò costituisce un progresso, perché l'inutile discussione sulla modifica della Costituzione era capziosa e fuorviante, ed era degenerata in una polemica puramente ideologica. 

                                                              

I missili cruise e ipersonici

Per realizzare questa strategia offensiva sono necessarie armi capaci di colpire in profondità il territorio nemico, e valutando che gli avversari presi in considerazione sono la Cina e la Corea del Nord, è evidente che i missili cruise hanno una gittata sufficiente per questo scopo, vantando inoltre una notevole flessibilità di impiego e versatilità. Il Ministero della Difesa giapponese intende perciò realizzare una serie di missili cruise di produzione nazionale, ma siccome ciò richiede un certo tempo e si intende rispondere alle minacce immediatamente, si è stabilito di acquistare missili cruise già disponibili sul mercato e di schierarli al più presto sui mezzi esistenti. La scelta è caduta sul missile RGM-109 Tomahawk nella versione Block VB, che dovrebbe essere schierato già a partire dal 2026, prevedendo di installarli sugli 8 cacciatorpediniere Aegis (classi Kongo, Atago, Maya) già in servizio, e sui 2 futuri incrociatori Aegis programmati. L'acquisto dovrebbe aggirarsi intorno a un numero di crica 400-500 missili, e parte dei finanziamenti sono stati già erogati nel budget per la Difesa del 2023. 

Per quanto riguarda invece i missili cruise di produzione nazionale, la situazione è molto articolata e considera una notevole varietà di progetti. Innanzitutto si prevede di ottenere un missile da crociera migliorando il missile antinave Mitsubishi Type 12, ottenendo così un missile dual-use in grado di colpire sia obiettivi terrestri che navali, con capacità di lancio da lanciatori mobili, aerei, navi, e sottomarini. Attualmente questo missile è identificato semplicemente con il nome di "modello con capacità superiori" (seino kojo gata), e fra le sue caratteristiche ci sarà un design stealth per sfuggire ai radar e ali estensibili per prolungarne l'autonomia che dovrebbe raggiungere nella versione finale circa 1.500 km. Mitsubishi Heavy Industries ha indicato la fase di sviluppo dal 2021 al 2025, e una possibile entrata in servizio soltanto dopo il 2026. Anche Kawasaki Heavy Industries avrebbe presentato un'offerta per un altro missile cruise con gittata di 2.000 km, ma al momento il progetto non si è ancora concretizzato e rimane soltanto al livello di proposta. Ancora più interessanti sono i progetti dei missili ipersonici giapponesi che risultano davvero originali e sofisticati. Nel 2020 il Ministero della Difesa ha reso noto ufficialmente lo sviluppo di alcune armi ipersoniche a cui lavorava segretamente da tempo, e ciò ha suscitato un certo scalpore perché si ignoravano completamente questi progetti così ambiziosi. L'ATLA (Acquisition, Technology & Logistic Agency), l'agenzia del Ministero della Difesa che si occupa di acquisizioni e sviluppo tecnologico, ha comunicato che gli ingegneri nipponci sono al lavoro per la realizzazione di due modelli di missili ipersonici, chiamati rispettivamente Hypersonic Cruise Missile (HCM) e Hyper Velocity Gliding Projectile (HVGP). L'HCM è simile a un missile tradizionale, ma è dotato di propulsione basata su uno scramjet che permette elevate velocità ipersoniche e una gittata a lungo raggio. Invece, l'HVGP è fornito di un motore a razzo a combustibile solido, che poi si separa sganciandolo ad alta quota, e possiede sistemi di controllo basati su propulsori di manovra e una piccola deriva. Entrambe le armi potranno utilizzare due modelli di testate: una variante antinave chiamata Sea Buster, composta da due stadi di detonazione (carica cava anti-corazza e carica perforante principale), e una testata del tipo penetrante multipla o Multiple Explosively Formed Penetrator (MEFP), ad alta densità, costituita da una carica sagomata formata da proiettili autoforgianti che al momento dell'esplosione creano uno sciame di frammenti che colpiscono diversi obiettivi. Secondo le informazioni più recenti pubblicate dall'agenzia di stampa Kyodo News, il missile ipersonico HCM dovrebbe avere una gittata di ben 3.000 km , mentre il missile planante HVGP avrebbe un raggio d'azione di 2.000 km. Si stima che i prototipi saranno realizzati fra il 2024 e 2028, così che questi missili possano entrerare in servizio nel 2030.

                                                         

La crescita militare

Si ritiene che Tokyo intenda acquisire più di 1.500 missili cruise del modello migliorato con capacità superiori (seino kojo gata), e migliaia di missili ipersonici, secondo un piano che prevede di costituire un arsenale in grado di intimorire qualsiasi aggressore. La realizzazione di questo ambizioso progetto non sarà un problema prendendo in considerazione il cospicuo aumento del bilancio per la Difesa, destinato a crescere fino a raggiungere il 2% del prodotto interno lordo. Infatti, il Ministero della Difesa ha già richiesto un budget per il 2023 di 6.820 miliardi di yen (51,4 miliardi di dollari), con un aumento impressionante del 26% rispetto all'anno precedente, e vuole proseguire con questa crescita costante fino al raggiungimento degli obiettivi che si è posto. L'incremento delle capacità militari di Tokyo non riguarderà soltanto il settore missilistico, ma interverrà su tutti gli armamenti convenzionali, con una particolare attenzione alla flotta della JMSDF (Japan Maritime Self-Defense Force) che conoscerà un aumento quantitativo e qualitativo senza precedenti. Non soltanto sarà completato il potenziamento delle due portaerei della classe Izumo, ma verrà anche rafforzato l'impiego delle fregate Mogami, dotate di spiccate caratteristiche HUK/SAG (Hunter Killer/Surface Action), e quindi in grado di contrastare efficacemente navi e sottomarini. Si tenga presente che queste unità sono armate con il missile antinave Type 17 che possiede una gittata di 400 km, davvero una potenzialità inedita per la JMSDF. Anche la JASDF (Japan Air Self-Defense Force) ha piani ambiziosi, puntando a sostituire i vecchi caccia di quarta generazione (F-15 e F-2) con i nuovi velivoli di sesta generazione (F-3 o Tempest) già nei prossimi anni '30, e di aumentare anche il numero dei reparti. Infine continuerà il rafforzamento dello scudo antimissile con lo sviluppo delle versioni migliorate del missile antiaereo Chu-SAM e della sua versione navalizzata A-SAM, il dispiegamento sulle nuove unità dei missili SM-6 e SM-3 Block IIA, e la modernizzazione dei Patriot PAC-3 con la versione MSE (Missile Segment Enhancement) e l'aggiornamento del radar con il modello LTAMDS (Low Tier Air and Missile Defense Sensor) in sostituzione degli AN/MPQ-65. Queste modifiche dovrebbero garantire anche una protezione dai nuovi missili ipersonici cinesi e russi, specialmente con il perfezionamento dei sistemi radar studiati appositamente per la loro intercettazione. 

                                                             

Le ambizioni e le prospettive

Attualmente il Giappone è la terza potenza economica e la quinta potenza militare mondiale, ma non viene percepito come un pericolo per la sicurezza e la stabilità internazionale, anzi è abbastanza ignorato oppure è considerato marginale. Invece negli anni '90 esisteva una vastissima letteratura che indicava appunto il Paese del Sol Levante come una seria minaccia, ed era un argomento di preoccupate discussioni e vivaci dibattiti. Ricordiamo in proposito il libro The Coming War with Japan di George Friedman e Meredith LeBard, nel quale si sosteneva addirittura la possibilità di un imminente conflitto fra Stati Uniti e Giappone, e il popolare romanzo Rising Sun di Michael Crichton, dal quale è stato tratto l'omonimo film interpretato da Sean Connery e Tia Carrere, incentrato su una storia di intrighi nell'ambito di economia e politica. Ormai il Giappone non è più raffigurato così a tinte fosche e bellicose, ma si cade però nell'errore opposto di descriverlo come un "paese dei balocchi" senza l'opportuna conoscenza della sua politica estera e interna, dell'organizzazione economica, dell'immenso apparato industriale, dell'avanzata ricerca scientifica e tecnologica, e del pensiero politico e filosofico, peccando purtroppo in una eccessiva superficialità che si ferma ai luoghi comuni e agli stereotipi banali. La National Security Strategy prevede nel lungo periodo una crescita militare del Giappone che potrebbe portare il paese a occupare il terzo posto mondiale, e a causa del rapido degrado della situazione dell'economia russa e alle enormi perdite in Ucraina, non sarebbe inconcepibile il superamento di queste potenze in gravi difficoltà. Bisogna fare i conti con questa prospettiva, perché ciò cambia gli equilibri regionali e perfino mondiali, e soprattutto deve essere Pechino a prendere in seria considerazione il fatto che non sarà più la potenza egemone in Asia. Attualmente Tokyo intende sviluppare le sue capacità di strike a livelli decisamente elevati, ma ancora con armamenti convenzionali, tuttavia in futuro potrebbe considerare di usare i suoi vettori (missili cruise stealth e ipersonici) per essere armati anche con testate nucleari. Nel 2021 il Giappone possedeva una riserva di plutonio "weapons grade" che ammontava a 46 tonnellate, risultato della produzione delle centrali nucleari entrate in servizio fin dal 1966, e detiene le tecnologie per costruire armi atomiche così da essere in grado di poter avviare una produzione di massa in pochi mesi. Come ricorda l'aneddoto raccontato dal noto analista Dario Fabbri, si può dire che "la bomba atomica è per il Giappone come un whisky a cui manca soltanto il ghiaccio, essendo a disposizione di tutti i componenti per realizzarla". Quindi la scelta di non possedere armi atomiche è puramente politica, e non dipende da altri fattori, ed è ribadita dalla Legge di Base sull'Energia Atomica del 19 dicembre 1955. Però il 20 giugno 2012 è stata approvata dalla Dieta Nazionale un'appendice a questa legge con la quale si stabilisce che l'energia nucleare può "contribuire alla sicurezza nazionale", e ciò apre prospettive decisamente diverse da quanto si è sempre ritenuto circa le scelte giapponesi in proposito. 

Per quanto concerne i cosiddetti "limiti imposti dalla Costituzione", si deve osservare che queste restrizioni sono facilmente aggirabili semplicemente con un espediente linguistico perché il Giappone non possiederebbe capacità "offensive" (kogeki), ma soltanto "controffensive" (hangeki) per rispondere a un attacco nemico. D'altronde la Costituzione si limita soltanto ad affermare che "il popolo giapponese rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano di una nazione, e alla minaccia o all'uso della forza come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali", ma non specifica come ci si dovrebbe comportare in caso di aggressione e coinvolgimento in guerra da parte di un'altra nazione. E ciò ovviamente deve essere deciso dai legislatori in conformità della volontà popolare e dell'espressione democratica rappresentata dai partiti politici. 

Infine è evidente che in Giappone sta prevalendo un atteggiamento che si potrebbe definire "rialzista", contrastando la crescita degli armamenti dei paesi ostili con il proprio aumento delle capacità belliche. Questo atteggiamento può essere descritto come un pericoloso "gioco d'azzardo", ma l'intero Giappone sembra essere dominato da una "frenesia del gioco" (kakegurui), e l'opinione pubblica chiede un continuo e costante rafforzamento della Difesa, ben oltre le prosposte del governo. Lo scrittore Yukio Mishima diceva che non ha senso scommettere con parsimonia quando si gioca, ed è probabilmente questa la vera essenza del kakegurui. Ma per capire profondamente i giapponesi è sufficiente citare un loro semplice proverbio: "se hai mangiato il veleno, tanto vale finire il piatto" (doku wo kurawaba sara made). Ed è questa la tendenza ad andare fino in fondo dopo aver preso una scelta, anche drammatica. 




I nuovi equilibri in Asia

Articolo pubblicato dalla rivista "Panorama Difesa". Cfr. Cristiano Martorella, I nuovi equilibri in Asia, in "Panorama Difesa", n. 382, anno XXXVII, febbraio 2019, pp.44-53.  

I nuovi equilibri in Asia 
Le relazioni internazionali dei paesi asiatici fra alleanze e intenso riarmo, in un'area dove si gioca il destino del mondo.   
di Cristiano Martorella   
  
La sociologia della comunicazione descrive un fenomeno chiamato echo chamber (camera dell'eco) con il quale si indica la tendenza a ripetere pedissequamente un'opinione e a cercare soltanto conferme a essa, rifiutando a priori punti di vista differenti e alternativi. In questo modo si evita di confrontarsi con la realtà e la sua complessità, aderendo acriticamente a un preoccupante processo di disinformazione. Il fenomeno dell'echo chamber riguarda tutti i mezzi di comunicazione di massa, e sta coinvolgendo tutte le discipline, ed è per questo motivo che non bisogna meravigliarsi se ciò è riscontrabile anche nella geopolitica. Sempre più spesso si afferma che viviamo ormai in un mondo multipolare, spesso caotico, ma si continuano a usare le consuete categorie del pensiero bipolare utilizzando la contrapposizione fra due blocchi con una parte rappresentata dagli Stati Uniti e i loro alleati, e dall'altra la Russia e la Cina apparentemente solidali per costituire un nuovo ordine mondiale antagonista. Questa semplificazione è troppo rozza e banale, ed esclude gran parte degli attori regionali considerati secondari, ma soprattutto non descrive i reali rapporti di forza fra potenze grandi, medie e piccole, impedendo di capire la complessa geometria delle relazioni internazionali. Ciò che sta sfuggendo è in particolare la situazione in Estremo Oriente, dove si sono formate nuove alleanze nell'ottica del contenimento della Cina. In effetti, la preoccupazione per la crescita del potenziale militare cinese è stata la motivazione che ha costretto molti paesi a collaborare, ma ha anche mostrato che, oltre al timore per l'assertività cinese, è possibile una interessante e proficua cooperazione nel settore della sicurezza. Per comprendere meglio questa complessità vogliamo fornire un quadro dei recenti cambiamenti di strategia, dell'evoluzione della politica estera, e delle collaborazioni fra paesi della regione asiatica.  
  
Quadrilateral Security Dialogue  
Il Quadrilateral Security Dialogue (noto anche come Quadrilateral Initiative, e spesso abbreviato con il termine Quad) è un forum intergovernativo che coinvolge le amministrazioni di Stati Uniti, Giappone, Australia e India. Il primo incontro avvenne il 25 maggio 2007 a Manila, e vide la partecipazione del premier giapponese Shinzo Abe, del vicepresidente statunitense Dick Cheney, del primo ministro australiano John Howard e del primo ministro indiano Manmohan Singh. Questo incontro fu seguito pochi mesi dopo dall'imponente esercitazione navale Malabar 2007 svoltasi il 4-7 settembre 2007 nel Golfo del Bengala, nella quale furono impegnate le navi dei quattro paesi del gruppo, a cui si aggiunsero anche unità di Singapore. Fra le navi impiegate, circa 27, spiccavano le portaerei americane Nimitz e Kitty Hawk, l'indiana Viraat, gli incrociatori americani Cowpens e Princeton, i cacciatorpediniere John Paul Jones, Curtis Wilbur, Higgins e il giapponese Yudachi, e la fregata singaporiana Formidable. Da allora le esercitazioni Malabar sono continuate con cadenza annuale, mantenendo come membri permanenti gli Stati Uniti, il Giappone e l'India, e assumendo un valore strategico rilevante. Il Quadrilateral Security Dialogue è stato rilanciato il 12 novembre 2017 a Manila, con un incontro che ha visto la partecipazione del premier giapponese Shinzo Abe, del presidente americano Donald Trump, del primo ministro australiano Malcolm Turnbull e del primo ministro indiano Narendra Modi. Questi incontri non comportano impegni ufficiali e non fissano nemmeno un programma definito, tuttavia rappresentano la cornice per la cooperazione dei paesi partecipanti che singolarmente hanno poi sviluppato l'uno con l'altro rapporti più profondi di collaborazione e alleanza militare come vedremo più avanti. Nel 2017 Washington ha dichiarato di voler incrementare la collaborazione militare con Giappone, India e Australia, puntando ad assegnare un valore strategico a queste relazioni internazionali con i paesi della regione Indo-Pacifico. Si deve osservare che l'uso dell'espressione "regione Indo-Pacifico", in sostituzione della precedente "regione Asia-Pacifico", indica anche l'enfasi data dall'amministrazione americana alla cooperazione con l'India, che è effettivamente cresciuta in questi anni. Ciò dovrebbe rappresentare un'ulteriore accelerazione del cosiddetto pivot to Asia, con una prospettiva ancora più spinta nell'identificare l'Asia come la regione cruciale in futuro. Anche se Washington assume un ruolo fondamentale per il peso espresso e il ruolo svolto, bisogna però ricordare che le origini del forum sono da rintracciare altrove. Infatti il Quadrilateral Security Dialogue nacque all'inizio del 2007 da un'idea del premier giapponese Shinzo Abe che voleva allargare all'India gli incontri del già esistente Trilateral Strategic Dialogue fra Stati Uniti, Giappone e Australia. La proposta aveva un forte contenuto politico sostenendo l'idea di un "arco asiatico di democrazia" che intendeva coprire i paesi democratici garantendo la loro sicurezza, e promuovendo le attività economiche e il libero commercio. L'evoluzione, fra alti e bassi, ha portato a interessanti sviluppi, mostrando le enormi possibilità della cooperazione nel settore della sicurezza. Anche se il Quadrilaterl Security Dialogue è nato con l'evidente intenzione di contenere l'espansionismo cinese, non è necessariamente concepito soltanto come un'alleanza contro la Cina, anzi potrebbe avere altri obiettivi, se tale esigenza si rivelasse meno pressante. Piuttosto si devono considerare altri pericoli che possono minacciare la regione, come ha dimostrato l'escalation di provocazioni della Corea del Nord nel 2017.  
  
Joint Declaration on Security Cooperation between Japan and India   
Le alleanze in questa regione dell'Asia ruotano intorno al Giappone che è un paese capace di vantare una ricchissima tradizione e una lunga storia, e perciò in grado di avvalersi quindi degli ottimi rapporti con alcune nazioni, in primis l'India. Pur essendo poco noto, il Giappone non ha soltanto la reputazione di aggressore durante la Seconda guerra mondiale, ma è ritenuto viceversa anche l'artefice del riscatto asiatico, avendo avuto il merito di aver cacciato le potenze occidentali opponendosi al colonialismo. Questo punto di vista è particolarmente sentito in India, ricordando il notevole appoggio che il leader indiano indipendentista Subhas Chandra Bose ricevette dai giapponesi durante il conflitto, con l'organizzazione della sua fuga e il sostegno alla lotta contro i britannici. Il concetto era riassunto all'epoca con lo slogan "l'Asia agli asiatici", e coadiuvato dall'elaborazione di una politica panasiatica soltanto parzialmente applicata. Ancora oggi le relazioni fra India e Giappone sono eccellenti, e sono consolidate da interessi comuni e valori condivisi come l'assetto democratico basato su libere elezioni e rappresentanza parlamentare, e alcune somiglianze delle religioni prevalenti come il buddhismo e i culti politeisti locali, induisti e shintoisti. Soprattutto sono convergenti le posizioni politiche su numerosi argomenti, compreso il tema della sicurezza, e in particolare la libertà di navigazione. Infatti, Nuova Delhi è preoccupata per la presenza delle navi militari cinesi nell'Oceano Indiano con l'accresciuta potenza navale di Pechino che minaccia l'intera area, ma anche per i mai sopiti contrasti per i contenziosi territoriali al confine presso l'Arunachal Pradesh e nella regione di Ladakh nel Kashmir, e perfino nel vicino Bhutan per il Doklam. Per questi motivi la collaborazione militare con il Giappone è cresciuta sempre di più, fino ad arrivare a un accordo formale molto ampio e articolato chiamato Joint Declaration on Security Cooperation between Japan and India. Questo accordo è stato firmato a Tokyo il 22 ottobre 2008 dal primo ministro indiano Manmohan Singh e l'omologo giapponese Taro Aso, e prevede la condivisione di un comune punto di vista sulla politica estera, la cooperazione delle forze militari con esercitazioni congiunte, lo scambio di informazioni e possibilmente la collaborazione nel settore dell'industria militare. Quest'ultima aspirazione è stata in effetti rispettata con l'acquisto da parte dell'India degli idrovolanti giapponesi ShinMaywa US-2. Tuttavia l'aspetto che più interessa all'India riguarda il controllo marittimo con l'opportunità di poter fare affidamento sulla potenza navale giapponese per respingere le ingerenze cinesi, ed è per questa motivazione che sono state notevolmente intensificate le esercitazioni Malabar. Le esercitazioni navali Malabar iniziarono nel 1992, originariamente come attività addestrative soltanto fra India e Stati Uniti. Il Giappone fu invitato a parteciparvi nel 2007, e poi nel 2015 divenne un membro permanente insieme a India e Stati Uniti. Altri partecipanti sono l'Australia e Singapore, ma non hanno ancora lo status di partner permanenti. Il Giappone ha anche cominciato a partecipare da solo alle esercitazioni navali con l'India, e la prima volta è avvenuto nella baia di Sagami nella prefettura di Kanagawa, il 9-10 giugno 2012, con l'impiego di due cacciatorpediniere giapponesi, quattro navi indiane e l'aviazione navale nipponica. Queste operazioni bilaterali sono sempre più frequenti, e l'India sembra aver trovato nel Giappone un ottimo partner che risponde in maniera soddisfacente alle richieste del gigante asiatico. In proposito bisogna ricordare che l'India ha avuto negli anni recenti una crescita del prodotto interno lordo superiore a quella cinese, con un aumento demografico che costituisce la ragione della vitalità della sua economia, insieme al graduale miglioramento dell'industria e delle infrastrutture. Come potenza militare l'India ha ancora molte lacune da colmare, però già adesso rappresenta una forza rilevante della regione. Nel 2018 Nuova Delhi possedeva circa 140 testate nucleari, e da poco tempo ha completato lo sviluppo del missile balistico Agni V, un vettore a tre stadi a combustibile solido capace di colpire bersagli in tutta la Cina (comprese Pechino e Shanghai) grazie a un raggio d'azione di oltre 5.800 km.  
   
Japan-Australia Joint Declaration on Security Cooperation   
Un altro interessante tassello nello scacchiere del Pacifico è rappresentato dall'Australia che come abbiamo visto in precedenza è un membro del Quadrilateral Security Dialogue. Anche in questo caso il ruolo del Giappone è importante per molti aspetti, e gioca una essenziale funzione di collegamento con l'alleato americano. Infatti Tokyo ha stretto un accordo con Canberra sul tema della difesa chiamato Japan-Australia Joint Declaration on Security Cooperation. L'accordo fu firmato a Tokyo il 13 marzo 2007 dal primo ministro australiano John Howard e dall'omologo giapponese Shinzo Abe. La collaborazione prevede anche incontri bilaterali periodici, chiamati Australia-Japan Foreign and Defence Ministerial Consultations, fra i ministri degli Esteri e della Difesa, che permettono di approfondire la situazione, avviare nuovi progetti, ed esprimere una posizione politica condivisa. Finora Australia e Giappone hanno trovato una piattaforma politica comune su alcuni princìpi e valori irrinunciabili come la volontà di favorire e promuovere la democrazia e il rispetto dei diritti umani, l'osservanza delle leggi internazionali, l'applicazione delle norme per il libero commercio, e la garanzia della libertà di navigazione. Dal punto di vista militare, Australia e Giappone impiegano molti sistemi d'arma di fabbricazione statunitense, e intendono perciò intensificare la collaborazione e lo scambio di informazioni al riguardo. Il caso emblematico è il cacciabombardiere stealth F-35 che è stato comprato da entrambi i paesi, e dovrà avvalersi di strutture locali per la manutenzione, la riparazione e l'integrazione degli armamenti, e perciò si prevede quindi anche una cooperazione e attività operative comuni fra i velivoli delle due nazioni. Inoltre, il Giappone ha acquistato dall'Australia otto veicoli protetti Bushmaster dotati di caratteristiche particolari, con un elevato grado di protezione contro le mine, che vengono impiegati per le missioni speciali, e sarebbero stati comunque difficilmente sostituibili con altri mezzi. Il secondo aspetto della collaborazione fra i due paesi riguarda l'economia, ed è decisamente cruciale se gli si attribuisce il corretto valore da l punto di vista strategico. Firmato a Canberra l'8 luglio 2014 dai primi ministri Tony Abbott e Shinzo Abe, il Japan-Australia Economic Partnership Agreement (JAEPA) prevede un canale preferenziale per le esportazioni australiane in Giappone, garantendo una crescita complementare delle economie, considerando che l'Australia è un fornitore di materie prime e risorse energetiche indispensabili per la produzione industriale giapponese. Infine Canberra e Tokyo si sono poi dimostrate molto sensibili al tema della sicurezza informatica accogliendo l'invito di Washington a escludere le aziende cinesi Huawei e ZTE dalla partecipazione alla realizzazione delle infrastrutture delle reti telematiche. Da tempo è infatti in corso un braccio di ferro con Huawei e ZTE che sono esplicitamente accusate spionaggio.   
  
Japan-UK Joint Declaration on Security Cooperation   
Un caso emblematico del multipolarismo caotico che contraddistingue i nostri tempi, è rappresentato dalla decisione del Regno Unito di uscire dall'Unione Europea, preferendo abbandonare una comunità di 28 stati con un prodotto interno lordo complessivo nettamente superiore a quello della Cina, in cambio di una sovranità non più trattabile e apparentemente irrinunciabile. Tuttavia la cosiddetta Brexit non è affatto un processo chiaro e sicuro, ed è continuamente rimessa in discussione a causa dei numerosi svantaggi che ne impediscono una applicazione definitiva. Comunque, la scelta di Londra ha però provocato una completa rivalutazione delle relazioni internazionali, con l'intenzione di guardare maggiormente all'Estremo Oriente e all'America per stringere rapporti più forti, e per ricostruire quindi un'economia su basi diverse. Ciò che si vagheggia è il sogno di un ritorno al modello dell'Impero Britannico che grazie alle sue relazioni internazionali extraeuropee sia capace di gestire commerci e finanze meglio di chiunque altro. Nell'ottica di questo ritorno in Estremo Oriente, Londra ha stipulato un accordo con il Giappone chiamato Japan-UK Joint Declaration on Security Cooperation firmato a Tokyo il 31 agosto 2017 dal primo ministro Theresa May e dall'omologo giapponese Shinzo Abe. La cooperazione fra Giappone e Regno Unito non è affatto stravagante, come si potrebbe superficialmente pensare, ma è piuttosto un nostalgico ritorno alle origini ricordando l'antica Alleanza Anglo-Giapponese (Nichiei domei) sancita con la firma di un trattato a Londra il 30 gennaio 1902, e rimasta in vigore fino al 1921. In base a questa alleanza il Giappone partecipò alla Prima guerra mondiale al fianco delle forze anglofrancesi, combattendo i tedeschi nelle loro colonie in Estremo Oriente, e arrivando addirittura a inviare alcuni cacciatorpediniere nel Mediterraneo a sostegno degli alleati. L'importanza della collaborazione anglo-giapponese fu notevole se si considera il contributo dato alla nascita della Marina Imperiale del Sol Levante, con la vendita di corazzate e incrociatori (fra cui ricordiamo l'eccellente classe Kongo), e alla creazione dell'aviazione imbarcata con l'assistenza fornita attraverso mezzi e personale (come gli aeroplani Sopwith Pup e Gloster Sparrowhawk fondamentali per l'addestramento al decollo e appontaggio). Attualmente la cooperazione fra i due paesi ha ripreso lo stesso andamento che era stato avviato in quel lontanto passato, e si sta concretizzando con progetti comuni nel settore dell'industria della difesa, con forme di assistenza come l'addestramento specializzato e con intense esercitazioni congiunte. Dal 23 ottobre al 4 novembre 2016, si è infatti svolta in Giappone, presso le basi aeree di Chitose e Misawa, l'esercitazione Guardian North 16, a cui hanno partecipato caccia Eurofighter Typhoon della Royal Air Force e Mitsubishi F-2 e F-15J della Japan Air Self-Defense Force. Questa è stata la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale di un evento simile, e si è potuto assistere a una esercitazione fra aerei da combattimento inglesi e giapponesi che finora era alquanto insolita. Ancora più importante è stata l'esercitazione Vigilant Isles che si è svolta dal 30 settembre al 12 ottobre 2018 presso Ojijihara, nelle vicinanze della città di Sendai nella prefettura di Miyagi, e al Fuji Training Camp a Shizuoka, alle pendici del monte Fuji. In questa occasione hanno partecipato alle attività i soldati britannici dell'Honorable Artilery Company insieme ai colleghi giapponesi delle Forze di Autodifesa. Si tratta della prima volta che il Giappone ha ospitato truppe non americane sul proprio territorio per un'esercitazione. Considerando l'elevata competenza dei soldati britannici, il contributo che il Regno Unito può fornire nell'addestramento è dunque altissimo, ma può garantire anche la preparazione per sviluppare tattiche adeguate a condizioni particolari di combattimento come la riconquista di un'isola (esperienza vissuta realmente nelle Falkland). Infine, un settore in cui Londra e Tokyo vogliono collaborare maggiormente riguarda l'industria della difesa. Si sta infatti cercando di coinvolgere sia il governo sia le aziende giapponesi nel progetto del Tempest, un caccia stealth di sesta generazione che dovrebbe volare intorno al 2035 circa, ed è sostenuto da importanti gruppi come BAE Systems, Leonardo, MBDA e Rolls Royce. Un altro progetto caldeggiato riguarda il missile aria-aria Meteor che potrebbe essere acquistato per armare i caccia F-35A giapponesi, esigenza che sembra essere molto sentita a Tokyo. Inoltre è anche stata avviata una collaborazione per realizzare una versione migliorata del Meteor dotata di un seeker prodotto da Mitsubishi Electric, chiamata JNAAM (Joint New Air-to-Air Missile). Si spera che i primi test di questo missile possano iniziare nel 2023. Questo fiorire di attività fa intendere che i possibili progressi in questi settori siano destinati a essere incrementati.   
  
Belt and Road Initiative   
Nel quadro delle alleanze stipulate in Asia, la Cina riveste un ruolo centrale essendo percepita come una minaccia a causa della sua crescita militare, della politica estera espansionistica e assertiva, e anche per il suo assetto politico e istituzionale fortemente critico e ostile nei confronti della democrazia liberale. Appunto per reagire a questa sfida sarebbero stati sviluppati accordi e collaborazioni fra paesi diversi. Questa strategia sarebbe una riedizione, riveduta e corretta, della dottrina di George F. Kennan per l'Asia, che prevede di stendere una maglia di contenimento attraverso accordi bilaterali diversamente vincolanti con alleati tradizionali e nuove potenze. Sebbene ciò sia ancora in gran parte vero, bisogna considerare che negli anni recenti la Cina ha cambiato la sua strategia, e ciò va analizzato con oculatezza. Procediamo con ordine attraverso un breve excursus storico che fornisca un'idea più precisa di questo cambiamento. Nel suo discorso al XVIII Congresso del PCC (Partito Comunista Cinese), l'8 novembre 2012, il presidente Hu Jintao affermò che la forza militare cinese avrebbe dovuto diventare egemone tanto da trasformare la nazione in una potenza marittima. Questa esortazione riprendeva una teoria elaborata dall'ammiraglio Liu Huaqing, secondo il quale c'erano due catene di isole che dovevano cadere assolutamente sotto il controllo della Cina. La prima catena di isole è composta dall'arcipelago del Giappone, le isole Ryukyu, Taiwan, le Filippine e la Malesia, mentre la seconda è composta dalle isole Marianne, Guam e Palau. L'ammiraglio Liu Huaqing riteneva che la Cina avrebbe ottenuto la supremazia sulla prima catena di isole entro il 2010, mentre la seconda sarebbe stata assoggettata intorno al 2020, con il controllo infine dell'Oceano Indiano e Pacifico fissato nel 2040. Ovviamente questa previsione si è rivelata troppo ottimistica, e le navi da guerra statunitensi continuano a navigare perfino nel Mar Cinese Meridionale, nelle acque rivendicate da Pechino, e nonostante la presenza di avamposti militari sulle isole Spratly e l'esibizione muscolare della forza militare da parte cinese. La strategia di Liu Huaqing infatti non prevedeva la ferma reazione americana, anzi pensava di intimorire Washington tanto da farlo arretrare, mentre l'intuizione dell'amministrazione americana ha suggerito che quel tratto di mare fosse una questione cruciale per le sorti del mondo, spostando con decisione l'attenzione in questa regione secondo la dottrina del pivot to Asia. Inoltre Pechino ha trovato un inaspettato ostacolo nell'ostinazione giapponese nel difendere anche le più piccole isole del suo territorio, come per il contenzioso delle isole Senkaku, che ha provocato l'avvio di un profondo processo di riarmo e riorganizzazione delle Forze di Autodifesa del Giappone. Le isole più meridionali del Giappone, le Sakishima, con la più vicina Ishigaki a soli 150 km dalle Senkaku, sono diventate il presidio di una difesa A2/AD (Anti Access/Area Denial) costituita da missili costieri antinave Type 88 e Type 12, dotati di una gittata di 200 km, antiaerei Type 03 Chu-SAM, e antibalistici PAC-3 Patriot. Il controllo è poi garantito da numerosi potenti radar: J/FPS-7 a Miyako e Okinoerabu, J/FPS-4 a Kume, e J/FPS-5C a Yozadake. A questi si è aggiunto recentemente il radar di Yonaguni, l'isola più remota posta a sud-ovest, con una portata di 320 km. Un altro problema insormontabile per la Cina è l'impossibilità di attaccare il Giappone senza coinvolgere le forze armate degli Stati Uniti. Infatti le basi giapponesi sono quasi tutte adiacenti a insediamenti militari americani, come nei casi evidenti di Yokosuka, Misawa, Atsugi, Sasebo, Iwakuni e Okinawa, e quindi uno scontro si tramuterebbe certamente in un conflitto di grandi dimensioni. Anche se si cercasse di limitare l'attacco con operazioni anfibie concentrate in una zona ristretta, il possesso del controllo del cielo e del mare da parte dei giapponesi renderebbe inattuabile ogni proposito di invasione. Per evitare uno scontro diretto con gli Stati Uniti nel Pacifico, Wang Jisi, preside della Scuola di Studi Internazionali di Pechino, propose nel 2012 una nuova strategia che orientava lo sforzo diplomatico, economico e militare verso ovest, in Asia centrale e meridionale, Medio Oriente e Africa. L'idea di "orientare a ovest" l'espansione della Cina ha avuto un enorme successo incontrando un'altra intuizione del presidente Xi Jinping fautore della Nuova via della seta. La strategia di Wang Jisi è indubbiamente molto intelligente perché considera complementari la dimensione economica, politica e militare, alternando brillantemente diplomazia, investimenti, costruzioni di infrastrutture, crescita finanziaria e rafforzamento militare, ed elaborando una teoria autenticamente geopolitica che tiene presente l'aspetto geografico. La Belt and Road Initiative (nota anche come One Belt One Road, in cinese Yidai yilu) è la realizzazione concreta di questa strategia che intende unire maggiormente la Cina all'Asia, Africa ed Europa con il potenziamento dei collegamenti e delle infrastrutture. Così la Cina avrebbe l'accesso alle risorse minerarie ed energetiche dell'Africa e del Medio Oriente, e simultaneamente aumenterebbe le esportazioni in Europa. Le forze armate sarebbero ovviamente impiegate per proteggere e garantire la circolazione delle merci per le vie marittime e terrestri. Questo progetto è certamente un capolavoro della strategia cinese perché si ispira ai princìpi della tradizione esposti dal maestro Sun Tzu che esortava a creare le condizioni per vincere la guerra senza combattere.   
  
America First  
 Le difficoltà della Cina nell'applicare i propri piani di espansione cominciano quando incontrano gli interessi degli Stati Uniti che non sembrano condividere l'opinione molto diffusa circa il declino della potenza americana. Anche questa credenza riguarda le scienze sociali, e in particolare la sociologia della comunicazione, come abbiamo descritto inizialmente, e il modo in cui si formano e rafforzano le opinioni. La convinzione che gli Stati Uniti siano una potenza in declino, destinati a essere superati dalla Cina prima nell'economia e poi nella politica, costituisce una costante di una narrazione antisistema. Questa narrazione è il prodotto della profonda insoddisfazione della classe media che è un fatto oggettivo, ma viceversa non è fondata la credenza che gli Stati Uniti siano in declino perché i dati economici ci dicono esattamente l'opposto. Al contrario, la Cina ha enormi problemi, ma a differenza dei paesi occidentali può controllare e manipolare l'opinione pubblica grazie alla censura della stampa e di tutti i mass-media, compreso internet. Se consideriamo come in questi anni sia rallentata la crescita del prodotto interno lordo cinese, arrivando a quasi dimezzarsi rispetto alla cifra dell'impressionante boom economico all'inizio del secolo, ci rendiamo conto che il tanto celebrato sorpasso degli Stati Uniti diventa più arduo e lontano. In proposito è utile ricordare come la situazione della Cina contemporanea sia stata brillantemente analizzata dal politologo Joseph Nye che ha messo in luce le tante difficoltà che le impediscono di diventare una potenza globale. Innanzitutto è criticabile il suo autoritarismo arcaico e paternalistico che non è paragonabile a nessun altro, e soprattutto la Cina non può essere in alcun modo ritenuta un modello politico, e infatti non ha mai proposto un modello che possa essere imitato, anzi si ritiene un'eccezione culturale, etnicamente e geograficamente determinata. Se si può obiettivamente riconsiderare un ridimensionamento consistente del potere degli Stati Uniti nel mondo, non si può sostenere comunque che ci sia in atto un sorpasso o un raggiungimento da parte della Cina tale da giustificare l'idea di un bipolarismo. Ciò che invece emerge è un multipolarismo caratterizzato da molteplici e diverse dinamiche, con pesi e forze anche molto differenti. Dal punto di vista militare gli Stati Uniti hanno ancora un enorme vantaggio, in particolare per quanto riguarda le capacità dell'armamento atomico. Nel 2018 l'arsenale nucleare americano era costituito da 1.750 testate nucleari operative, a cui si aggiungono altre 4.700 testate in stoccaggio, mentre le testate cinesi erano appena 280. Anche i missile intercontinentali cinesi basati a terra sono molto meno di quelli americani, e quelli imbarcati sui sottomarini sono anch'essi inferiori. Per quanto riguarda il confronto marittimo il paragone è impietoso perché se la Cina può vantare la costruzione di 2 portaerei, gli Stati Uniti dispongono di 11 portaerei (10 classe Nimitz e una Gerald Ford), tutte molto più grandi e potenti, a cui si aggiungono 66 cacciatorpediniere Aegis della classe Arleigh Burke e 22 incrociatori Ticonderoga. In conclusione la potenza economica e militare degli Stati Uniti è ancora schiacciante, e fa ritenere giustamente che essi rimarranno protagonisti nell'Oceano Pacifico e in Asia per molti anni ancora.   
  
Le alleanze fluide nella società liquida  
Una considerazione finale deve essere svolta in merito alle condizioni mutate in cui ci si accorda e si stringono alleanze. Il sociologo Zygmunt Bauman si riferisce alla società contemporanea postmoderna chiamandola "società liquida" per indicarne l'estrema mutevolezza, instabilità, incertezza e precarietà. In questo tipo di società le identità non sono mai ben definite, non vi sono certezze, tutto è molto veloce e continuamente in mutamento. Quindi, nel mondo attuale, se si vogliono realizzare delle alleanze militari bisogna concepirle nei termini delle "alleanze fluide" che sono intese sui reciproci vantaggi, senza pretendere che il contesto rimanga immutato oppure venga basato esclusivamente su fondamenti ideologici come avveniva in passato. Ci si rende conto già adesso quanto questo aspetto sia cruciale, e infatti le consuete alleanze "ideologiche" sono sempre più deboli, e lo si vede nei tanti contrasti fra Stati Uniti ed Europa, oppure nell'ambivalenza della Russia che fornisce armamenti molto avanzati all'India nonostante essa sia l'avversario più temibile per la Cina. Si rende necessario perciò una maggiore elaborazione teorica delle dottrine militari alla luce dei cambiamenti storici in atto, con un impegno intellettuale molto più forte perché oltre al possesso di armamenti sempre più sofisticati serve un'idea circa il modo di impiegarli, e questo aspetto non può essere delegato soltanto a tecnici o militari professionisti, ma è assolutamente una responsabilità politica.